Siamo tutti detective, oramai. Da quando la televisione ha sdoganato programmi su crimini e scomparsi, e di più dopo l’era web, non c’è quasi cittadino nel mondo che non dica la sua su fatti di cui non conosce un’emerita fava, in realtà, perché i media, come abbiamo spesso narrato, la raccontano ognuno a modo proprio. Naturalmente in alcuni casi è facile e liberatorio scagliarsi contro i responsabili, vedi la morte di Marco Vannini, ma è una magra consolazione, dinanzi a verità di cui in realtà sfuggono sempre larghe porzioni.
Tra le sparizioni irrisolte c’è quella di Erika Ansermin. Premettiamo un breve aneddoto personale. E’ il 10 agosto 2003, domenica. Chi scrive ha trascorso il week end a Limonetto, frazione della più elegante Limone, provincia di Cuneo, in visita ai genitori, che prendono un appartamento per le vacanze da qualche anno, in questo spicchio di bellezza e tranquillità, tra le Alpi Marittime. E’ tardi, lunedì si torna al lavoro, Carmen deve prendere il treno che scende a Ventimiglia. Le piace veder scorrere quel panorama, viaggiare su un vecchio convoglio, lo preferisce ad altri percorsi e mezzi. Per giungere alla stazione di Limone si prende un pullman, e lei lo acchiappa quasi al volo, si siede nella prima fila, subito sopra la salita accanto all’autista. C’è poca gente, qualche anziano, oltre a un terzetto sistemato a fianco, appena indietro, che non permette di rilassarsi. Si tratta di una signora sui sessantacinque anni, un giovanotto, il figlio ( si suppone, perché la chiama mamma) e, tra i due, una ragazza dai tratti orientali che non dirà una parola per tutta quella mezz’oretta scarsa del tragitto: solo un lieve sorriso è stampato sul suo volto, ma forse è un’espressione tipica di certe etnie e poi, Carmen non vuole girare il collo per guardarla, storce un po’ l’occhio. Intanto madre e figlio parlano, lui soprattutto: commentano il paesaggio, notano gli animali, il tempo, ricordano commissioni da svolgere, sempre a voce alta. Il giovane tiene per mano la ragazza, ma a Carmen sembra più che la serri in una morsa. La provenienza della signorina muta? Sembra coreana. Benché appaia difficile distinguere, per noi, certe differenze, ne abbiamo visti ormai molti nelle nostre città e ci siamo anche informati. Difficile sia giapponese ( non è posto da turisti nipponici), non ci sono ancora cinesi lassù: nulla di certo, è un’impressione.
Al capolinea di Limone Carmen è costretta a scendere velocemente e salire di corsa le scale che portano ai binari, per non perdere la corsa. Fine, per il momento.
Torniamo ai fatti. E’ il 20 aprile 2003, domenica di Pasqua, e a Courmayeur una madre e un figlio attendono, al ristorante, la fidanzata di lui, Erika Ansermin, 27 anni, per il pranzo.
Erika appartiene a una facoltosa famiglia aostana. Adottata negli anni settanta, quando gli Ansermin vivevano a Honk Hong ( papà dirigente dell’ENI), insieme a Elisa, che però è vietnamita, allieta, con la sorella acquisita, la quiete montana, portando un tocco esotico in un ambiente fino ad allora piuttosto fermo. Le ragazze hanno ricevuto un’educazione d’ alto bordo, parlano diverse lingue. Erika, in particolare, ha voluto laurearsi a Chambéry, in Francia (d’altronde in Val d’Aosta il francese è madrelingua al pari dell’italiano) ed è vissuta a Londra, passaggio quasi obbligato per un giovane italiano benestante degli anni novanta. Ci dicono sia una stimata manager nel settore della moda, a Milano, e stia per andare a convivere con il suo fidanzato, Christian Valentini. Da Corriere.it,Primo_Piano/Cronache/2004/04_Aprile/26/erika.shtml
"Nonna Tina, una figura di nonna ideale, di quelle che ci sono nei film o nelle fiabe (alta, capelli grigi, colta, rasserenante, ma anche sicura e concreta) siede al tavolo dell’elegante salone nella sua villa (è titolare di un piccolo impero immobiliare). Sconcertata, rilegge la vita della nipote acquisita. Anzi delle nipoti acquisite, perché sono due: Erika, coreana, e Elisa, vietnamita. «Erika l’avevamo ribattezzata "la tedesca", per la determinazione e la precisione. Elisa, "la calabrotta": un termine inventato per esprimere il carattere sognatore e la passione per la musica: dal 2000 è la solista del gruppo "Rara Avis". Mia figlia Carla e suo marito Piero quasi 30 anni fa vivevano a Hong Kong e lì hanno adottato Elisa. Poi, per non lasciarla sola, a Seoul avevano accolto Erika. Le bambine hanno frequentato le elementari a Hong Kong, quindi sono venute ad Aosta, a portarci felicità».
Fino al 20 aprile 2003, domenica di Pasqua. «La sera del sabato santo ho cenato con lei, il papà e la madre. Erika, gentile e sorridente come sempre, mi ha parcheggiato l’auto sotto casa. Era incerta su dove pranzare il giorno di Pasqua: se con noi, al solito agriturismo di Etroubles, o con il fidanzato, e la mamma di lui all’Ermitage di Courmayeur. Solo all’ultimo decise: "Vado da Christian". Invece non la vide più nessuno".
Questo è quanto e, ad oggi, praticamente non ne sappiamo molto di più. Attingiamo sempre alla precedente fonte:
«Voleva rinascere lontano da tutto e da tutti? Nessuno glielo impediva. Non amava più Christian? Quante spose sono fuggite dall’altare! Non voleva darci questo dispiacere? Così ci fa soffrire il doppio»: parla tra se e se, nonna Tina Luchini Balla, madre di Carla, che è madre adottiva di Erika, 27 anni al momento della scomparsa.
Dopo aver salutato un amico di famiglia, la mattina di Pasqua alle 11 Erika conferma al fidanzato l’intenzione di raggiungerlo per le 13,15. Verso le 12,20 esce. Corre a restituire due film noleggiati al Blockbuster, quartiere Saint Christophe, 2.700 metri, 3-4 minuti d’auto. Poi risale sulla Panda verde, ripassa davanti a casa e si dirige a Courmayeur, 38 chilometri. Ma si ferma a 17.600 metri da casa, 20 minuti, davanti alla villa Orsi-Milano e al campeggio del microcomune Avise, 310 anime, al di là della Dora, quasi invisibile dalla statale 26. E’ l’ora della Messa, ricordano gli abitanti, nessuno vede nulla. Non sfugge però la vettura abbandonata e il giorno dopo il maresciallo di Morgex la recupera. Intanto, alle 13,30 di Pasqua era scattato l’allarme. Il fidanzato chiama gli amici, poi la nonna e i genitori di Erika. L’allarme si trasforma in mistero. Ci «segue la rassegnazione - confessa nonna Tina - al punto che mia figlia e mio genero quest’anno si sono rifugiati a Hong Kong, fino a maggio. Ora per un attimo ci siamo illusi. Ho sentito parlare di elementi nuovi. Ma è sempre la segnalazione dalla Svizzera!
Capisco che il nostro avvocato, Claudio Soro, voglia impedire che l’oblio scenda sul caso, ma per noi è sale sulla ferita.
Le abbiamo pensate tutte: rapimento, anche per traffico di organi, suicidio, qualcuno che l’avesse abbindolata con promesse mirabolanti all’estero. Lei parla 4 lingue, è una manager eccezionale. Da un anno il nostro cuore sobbalza ogni volta che vediamo una giovane orientale». Ritorna, quindi, con rinnovato dolore, il vortice delle ipotesi. Omicidio o sequestro? «Non ci sono mai stati né sciacalli né richiesta di riscatto», conferma l’avvocato Soro. Suicidio? «Approfondite ricerche, anche nei fiumi, non hanno dato esito». E la nonna: «Per carità! Erika aveva paura perfino di pungersi con un ago!».
Piuttosto, commenta il legale, «le chiavi di casa lasciate nella cassetta della posta e l’orologio d’oro regalato dalla nonna "dimenticato" sul tavolo possono essere un segnale..». Di fuga? «Certo - dice la nonna - le chiavi non può averle lasciate che lei. Temo fosse un messaggio. Però, perché comportarsi così? Poteva fare quello che voleva. Era affettuosa, ma decisa, "tedesca". …con Christian si lasciava, anche se poi lui andava a trovarla. Prima di Pasqua 2003 una società di Los Angeles le aveva proposto un contratto di lavoro negli Usa. Erika ha rifiutato. Ho pensato che sia stata spinta a sparire dalla voglia di ritrovare la sua famiglia originaria. Ma due anni fa mia figlia e Piero portarono Erika ed Elisa in Estremo Oriente a "riscoprire" le loro terre di origine. "Non ci interessano, ci siete solo voi", risposero. E poi perché scappare da Chiasso, dove poteva essere controllata, e non qui dal Monte Bianco, senza rischi?».
«Il problema dei documenti - sostiene l’avvocato Soro - in realtà non esiste: li ha lasciati qui, ma può essersene procurati di nuovi, non c’è problema. Come non lo è crearsi una nuova identità: basta navigare su Internet. Il problema semmai sono i soldi: dal conto di Erika non manca un centesimo». Come non mancava nulla alla vita della giovane. Eppure Erika, magari spinta da un disagio estremo o da un amore inconfessabile ha scelto freddamente, da «tedesca», quella libertà assoluta gustata dal pirandelliano Adriano Meis: altra vita, lontano dalla famiglia, dal mondo solito, dal presente e, perché no?, dal futuro. Sussurra nonna Tina: «Il venerdì successivo si sarebbe trasferita col fidanzato nella nuova casa milanese..». «Liberissima di sparire - commenta un’amica -. Libera anche di far soffrire il papà e la mamma. Può essere il destino dei genitori adottivi... Ma abbandonare così la sorella, no! E’ imperdonabile». Però, mai dire mai: come già insegnava Pirandello, è possibile abbandonare la propria identità? Il passato dell’Uomo senza passato ritorna.