L'intervento di sabato del ministro degli Esteri Antonio Tajani davanti alle Commissioni Esteri riunite di Camera e Senato è stato, francamente, imbarazzante. Di fronte a una crisi gravissima come quella in corso tra Israele e Iran, il massimo rappresentante della diplomazia italiana è riuscito a non dire nulla di realmente politico, limitandosi a una cronaca piatta degli eventi, come se fosse un notiziario.

Ma il punto centrale resta il silenzio assordante su ciò che conta davvero: l'Italia condanna oppure no l'aggressione israeliana? La risposta non è arrivata. Tajani ha ripetuto il mantra della preoccupazione per l'eventuale arma nucleare iraniana, ha invocato la de-escalation e il dialogo, ma ha accuratamente evitato di pronunciare la parola che avrebbe dato senso a tutto: condanna.

Eppure la logica è semplice: non si può invocare la via diplomatica e, allo stesso tempo, restare muti di fronte all'uso unilaterale della forza da parte di Israele. Se si è davvero per la pace e per la stabilità, si condannano gli attacchi preventivi e le provocazioni armate, da qualunque parte arrivino. Ma evidentemente, quando a premere il grilletto è Tel Aviv, la diplomazia italiana – e più in generale l'Occidente – diventano improvvisamente afoni.

Non è certo la prima volta che accade. Ogni volta che Israele si trova sotto pressione internazionale per i massacri commessi a Gaza — massacri veri, documentati, continuativi — puntualmente alza il livello dello scontro con Teheran. Così, spostando l'attenzione sul "pericolo iraniano", riesce a riaggregare il sostegno delle cancellerie occidentali, troppo pavide e complici per guardare in faccia la realtà. Lo ha già fatto nell'aprile 2024. Lo sta facendo di nuovo ora.

Nel frattempo, la conferenza ONU per il riconoscimento dello Stato di Palestina, prevista a New York, è stata prudentemente rinviata. A Gaza, intanto, le persone continuano a morire: sotto le bombe, per fame, per le malattie, per l'assenza di cure e per la violenza sistematica dell'IDF. La Striscia è completamente isolata dal resto del mondo: anche internet è stato tagliato. Un assedio medievale in pieno XXI secolo, sotto gli occhi indifferenti dell'Occidente democratico.

Israele continua ad allargare il suo progetto egemonico in Medio Oriente, alimentando il caos regionale, sostenuto da una retorica sulla "sicurezza" che ormai non regge più di fronte al disastro umanitario che ha prodotto. La cosiddetta "Grande Israele" si costruisce così: col sangue e con la complicità silenziosa degli alleati.

Nel frattempo, paesi come Arabia Saudita, Turchia, Cina e Russia hanno avuto almeno il coraggio di condannare apertamente l'aggressione israeliana. L'Europa e gli Stati Uniti, invece, tacciono o balbettano formule ipocrite, incapaci di superare i loro doppi standard.

L'intervento del ministro Tajani è solo l'ultima dimostrazione di una politica estera del governo Meloni sempre più subordinata, priva di autonomia, incapace di chiamare le cose con il loro nome. E il silenzio dell'Occidente, di fronte all'ennesima escalation provocata da Israele, è una vergogna che pesa ormai come un macigno.

Se davvero si volesse fermare la spirale di violenza, servirebbero parole chiare e atti coraggiosi. Ma evidentemente, dalle nostre parti, manca sia il coraggio che la volontà. Non per nulla Giorgia Meloni ha sempre dimostrato di essere serva obbediente dei diktat imposti dalle amministrazioni americane di Trump e Biden!