E' di oggi, l'ennesima notizia allarmante sulla situazione sanitaria in India, con migliaia di morti al giorno per Covid-19 (cifre che non scendono da settimane) 6.148 morti e 94.052 nuovi contagi. Che importa che la cifra dei deceduti di oggi sia viziata dal ricalcolo dei dati (non dichiarati prima) nello stato di Bihar  (Fonte: ADN Kronos) in un paese come l'India? E' come se ci perdessimo nelle tabelline delle addizioni delle elementari, dimenticando il riporto di 2, in una classe dove la matematica fosse diventata inapplicabile. Quel che conto è che sono i numeri stessi ad essere sfuggiti dal controllo ma soprattutto, non lo dimentichiamo, le testimonianze che giungono dal paese sono terrificanti.

Ma quali sono le cause del disastro indiano?

Inutile dire che sarebbe poco serio ricercare la causa in un singolo fenomeno. In India è un mix di più fattori, ma tutti si sono riuniti a creare una specie di tempesta perfetta. In un articolo che ho scritto più di un anno fa, per commentare un'inchiesta documentaristica fatta da una squadra di reporters di Envoyé Spécial (sotto riporto il documentario), si affermava con chiarezza che in India, sarebbe presto scoppiata una bomba sanitaria. Il sospetto numero uno, già allora, era considerato il controesodo rurale (trasferimento dalle città alle campagne), scatenato da un'epidemia non meno drammatica di quella sanitaria: quella sociale, con la perdita, per causa del coronavirus e del conseguente lock-down, di milioni di posti di lavoro concentrati nelle megalopoli come New Delhi.

Nei decenni precedenti, come sappiamo, milioni di persone avevano compiuto un vero e proprio esodo rurale verso le città, attratte dal miraggio di una vita migliore, andando molto più spesso ad ingrossare i panciuti slum delle megalopoli. Molti lavoravano per 32 rupie al giorno (49 centesimi), i più fortunati tra gli ultimi, 60-70 rupie al giorno (il famoso dollaro al giorno). 

Pensate che di recente la Commissione per la Pianificazione Economica indiana, sorretta dall'attuale governo populista di Modi, ha deciso di considerare povero solo chi guadagna proprio meno delle 26 rupie al giorno! Uno schiaffo ideologico, volto a far sparire dalle statistiche di povertà centinaia di milioni di persone.

Riporto l'articolo che avevo scritto ad aprile dell'anno scorso.


Aprile 2020.

Qualche giorno fa a New-Delhi, in India, il mondo ha potuto assistere all’immane tragedia del confinamento sanitario -contro Covid-19 – in un paese di 1.350.000.000 di abitanti. Non vi è dubbio che l’attuale regime, diretto dall’ultra-nazionalista Narendra Modi, abbia in qualche modo “facilitato” la messa in atto delle politiche restrittive dettate dall’OMS.

Occorre tuttavia verificare quanto l’esito di queste misure sia efficaci nella realtà, e quanto sia frutto di un’abile propaganda populista, che non vuole e non può promuovere all’estero l’immagine di un’india – che aspira al terzo posto dopo Stati uniti e Cina sulla scacchiere geopolitico mondiale – incapace di gestire la situazione. Certo è che, in un paese che conta qualcosa come trecentocinquanta milioni di poverissimi, sembra alquanto improbabile che queste misure siano rispettate nei fatti.

In un documentario francese, un'equipe di Envoyé Special, analizza il fenomeno di una povertà – a New Delhi – esacerbata dall’ondata di disoccupazione e disperazione seguita a Covid-19. Qua non si tratta di non avere la mascherina per andare a fare la spesa o di dover attendere più del dovuto per un aiuto economico; ma di trovarsi dall’oggi col domani senza più quel dollaro al giorno che ti consentiva di fare almeno la differenza tra la miseria e la morte di fame. Tutto si è fermato anche lì. La squadra di giornalisti, girando tra gli slum di Nuova Delhi, si chiede come possano essere rispettate le regole del distanziamento sociale e del confinamento, in un paese dove milioni di persone vivono in 20m2, senza finestre, acqua corrente e con nuclei familiari che scendono raramente sotto le 5 persone.

Uno slum di Delhi

La polizia, compie continui raid in quei quartieri nel tentativo vano di far rispettare delle regole che vengono infrante appena se ne vanno.

Il documentario si interessa naturalmente dei quartieri più poveri, perché sono quelli dove il nervo scoperto della carenza igienico-sanitario e della precarietà del lavoro appare insanabile e in tutta la sua drammaticità, con l’emergenza coronavirus.


I bambini non temono nemmeno la morte.

Si vede ad esempio, un gruppo di ragazzini che raccoglie gli spinaci selvatici con i piedi nelle acque reflue delle fognature. Non hanno altro da mangiare, perché i genitori sono senza il magro mezzo di sostentamento su cui potevano contare prima, perché si trovano lontano da tutti i servizi e infrastrutture basilari e perché sono vietati tutti i mercati ortofrutticoli all'aperto.

Alcuni cittadini, più agiati e sensibili, tentano di sopperire alla crescente miseria, organizzando distribuzione di cibo sulla strada, per tutti coloro che sono rimasti senza casa e lavoro, e li vedi spuntare fuori dal nulla, compostamente, con un carico enorme di dignità umana. Vengono però continuamente fatti sgombrare dalla polizia, spesso in malo modo. Non dimentichiamoci che con Modi c’è stata in India una svolta autoritaria.

E’ sconvolgente l’immagine di una bambina di soli nove anni che, assieme ad un gruppo di habitués della disperazione, fruga nelle discariche comunali, da cui una volta cercava materiale di recupero da vendere alle aziende del riciclo. Ora queste discariche sono solo i pagliai nauseabondi da cui estrarre derrate alimentari avariate e ad alto rischio batteriologico. Il giornalista chiede a due bambini se non abbiano paura del coronavirus e se non temano di morire. Ad una domanda tanto retorica, di approccio tipicamente occidentale, la risposta è raggelante:

Non abbiamo paura di morire, tutti dobbiamo morire prima o poi. E poi se il virus venisse da queste parti, i microbi se lo mangerebbero.


Per questa gente, immunizzata ad ogni sorta di deprivazione, il coronavirus sembra un archetipo mentale dei ricchi. Una donna anziana aggiunge che tanto, ora che il virus dovesse farsi vivo da quelle parti, sarebbero già tutti morti di fame.


Il controesodo biblico verso le zone rurali.

Ma accade un altro fenomeno, di proporzioni bibliche, in questi giorni. Ed è anche il titolo dell’articolo. E’ il controesodo rurale. Centinaia di migliaia di persone, che erano venute dalle zone rurali negli ultimi decenni, ad esempio a Nuova Delhi, trasformandola in una tentacolare metropoli di 26 milioni di abitanti, ora tentano di compiere la strada inversa perché senza cibo, lavoro e riparo.

Sanno che nelle zone rurali di origine, potrebbero almeno contare sulla protezione parentale. Qui invece, non hanno nulla e nessuno a cui chiedere aiuto. E allora ecco che nei giorni scorsi, centinaia di migliaia di persone si sono ammassate davanti ai pullman organizzati dal governo per riportarli a casa. Il distanziamento, le misure di prevenzione e protezione individuale sono totalmente assenti. Centinaia di persone alla volta, incollate come coaguli di umana sofferenza, cercano di salire sui pullman, accalcandosi lungo rampe che sembrano staccionate per l’inferno.


Che succederà se anche solo una di queste persone dovesse essere positiva al virus? cercate di immaginarlo.

Teniamo presente che quello che si verifica a New Delhi è solo la lente di ingrandimento di un fenomeno che coinvolge miliardi di esseri umani ogni giorno.

Qui in occidente, stringiamoci pure nel lutto per i nostri morti, non dimentichiamoli. mai. Ma smettiamo di lamentarci per le file ai supermercati, per le corsette negate al parco, per i film che non ci piacciono o per i videogiochi ultimo grido che non si possono comprare.