Due provvedimenti della Corte di Cassazione mettono seriamente in discussione la legittimità del Centro di permanenza per i rimpatri (CPR) di Gjader, in Albania, nel quadro del diritto dell'Unione europea. I giudici della prima sezione penale hanno infatti deciso di rinviare alla Corte di giustizia dell'UE due cause relative al trattenimento di migranti in quel centro, aprendo un fronte giuridico potenzialmente devastante per il progetto portato avanti dal governo Meloni in collaborazione con le autorità albanesi.

In origine, il protocollo tra Italia e Albania era stato pensato per gestire i richiedenti asilo intercettati in mare, mai giunti sul territorio italiano. A marzo 2025, il governo ha esteso il meccanismo anche ai migranti considerati “irregolari” già presenti in Italia, trasferendone poco più di cento a Gjader. Attualmente, secondo le ultime stime, ne restano circa cinquanta.

Ma ora, con il rinvio alla Corte del Lussemburgo, è probabile che anche questi trasferimenti debbano essere sospesi. Le due ordinanze della Cassazione riguardano espressamente entrambe le casistiche presenti a Gjader: quella dei migranti in situazione amministrativa irregolare e quella dei richiedenti asilo che hanno presentato domanda di protezione internazionale direttamente dal CPR albanese.

Il nodo centrale sollevato dagli ermellini è la compatibilità del CPR albanese con due direttive europee fondamentali: la direttiva rimpatri e la direttiva accoglienza. Il sospetto è che il trasferimento forzato di migranti dall'Italia a un Paese terzo non membro dell'UE – in questo caso l'Albania – possa violare il principio di territorialità previsto dalle normative europee.

Il primo dubbio riguarda proprio i migranti irregolari: spostarli a Gjader potrebbe aggirare le garanzie procedurali previste dalla direttiva rimpatri. Il secondo dubbio si applica ai richiedenti asilo: trattenere persone che chiedono protezione internazionale in un centro fuori dal territorio dell'UE potrebbe essere in contrasto con la direttiva accoglienza.

Non si tratta solo di una questione giuridica complessa: la Cassazione ha cambiato idea rispetto a una sua precedente decisione, nella quale aveva equiparato il CPR di Gjader a quelli situati sul suolo italiano. Ora invece la prima sezione penale ha invertito la rotta, ammettendo che i dubbi sollevati dalla Corte d'appello di Roma — che aveva rifiutato di convalidare i trattenimenti — erano fondati. Decisione che non è più “unica e isolata”, ma destinata a fare scuola.

Fino alla decisione della Corte di giustizia, che non arriverà prima di diversi mesi anche con la procedura d'urgenza richiesta dalla Cassazione, è realistico pensare che nessun tribunale italiano autorizzerà nuovi trasferimenti a Gjader. E non è tutto: è probabile che ogni volta che un richiedente asilo attualmente trattenuto in Albania presenterà domanda, il tribunale italiano ne ordinerà il rientro.

In parallelo, anche i giudici di pace – competenti per le proroghe o i riesami dei trattenimenti – si troveranno a fare i conti con i dubbi sollevati dalla Suprema Corte. In ballo non c'è solo un tecnicismo legale, ma un diritto fondamentale: la libertà personale, garantita dall'articolo 13 della Costituzione italiana, che richiede una doppia riserva di legge e di giurisdizione.

La Corte di giustizia UE potrebbe impiegare un anno per arrivare a una decisione, come già accaduto per la fase precedente del protocollo (quella sui “Paesi di origine sicuri”). Nel frattempo, il piano del governo resta paralizzato. Il tentativo di aggirare la normativa europea attraverso accordi bilaterali si sta scontrando con i paletti fissati dal diritto comunitario e dalla giurisprudenza nazionale.

In sintesi, il CPR di Gjader è finito sotto la lente d'ingrandimento dell'Europa, e la sua tenuta giuridica è sempre più fragile. Finché la Corte del Lussemburgo non farà chiarezza, l'intero progetto rischia di collassare sotto il peso delle sue stesse forzature legali.



Fonte: il manifesto