Vivere di propaganda fa perdere la testa, soprattutto a chi ne abusa, perché inevitabilmente finisce per causare un progressivo distacco dalla realtà e dalla logica, in base alla quale chiunque faccia politica dovrebbe agire.

In pratica, chi agisce in base alla propaganda vive di slogan ed evita di farsi e di rispondere alle domande, beandosi di "successi", oltretutto presunti, che invece dovrebbero far riflettere.


"Le notizie che leggiamo questa mattina" dichiara Di Maio, "ci dicono che quella di oggi è davvero una bella giornata. Dopo esser stato attaccato per mesi dai partiti d’opposizione (e dai loro media di riferimento) che me ne hanno dette di tutti i colori, ridicolizzando il decreto dignità (dicevano che non sarebbe servito a nulla!), ancora una volta sono felice di smentire questi chiacchieroni con i fatti. Sapete cosa dicono i dati istat di questa mattina?

Che la disoccupazione è in calo, parliamo del dato più basso dal 2012, mentre aumentano gli occupati, il dato massimo dal 1977!"

Il Di Maio pensiero però non si chiede e non spiega fino a che punto questi dati possano essere credibili. Il Governo di cui fa parte indica una crescita economica di poco superiore allo zero. Il reddito di cittadinanza che doveva far assumere chi cercava un lavoro non ha finora neppure assunto coloro che dovrebbero essere preposti a tale attività. Ordini e fatturato dell'industria sono in calo e, soprattutto, al MISE - ministero di Di Maio - si aggiungono giorno dopo giorno nuovi tavoli per risolvere le crisi occupazionali esistenti, senza dimenticare l'aumento delle ore di cassa integrazione.

E a testimoniare che il lavoro non è così semplice trovarlo, è lo stesso Di Maio che esce dal ministero minacciando di smuovere mari e monti se 400 posti di lavoro a Napoli vengono a mancare.

Ma di che diavolo allora si preoccupa il ministro se la disoccupazione è in calo? Di Maio non lo spiega. E non si spiega neppure la tenacia con cui, in questi giorni, anche i lavoratori della Jabil di Caserta lottino per il dimezzamento del personale all'interno della loro azienda.

Un mistero.


Ed è un mistero la crociata dei 5 Stelle contro i Benetton, quando un partito di Governo dovrebbe, in una vicenda complessa come quella del ponte Morandi, mostrare la cautela che si richiede a chiunque occupi incarichi istituzionali, senza dimenticare che le responsabilità per quanto accaduto a Genova  potrebbero anche coinvolgere i competenti uffici del ministero delle Infrastrutture e, di conseguenza, lo stesso Stato iataliano.

E invece, Di Maio dice: "Ci sono milionari e multinazionali che credono di poter utilizzare le casse dello stato a proprio piacimento e quando provi a togliergli le rendite, iniziano a ricattare. Si sentono forti perché c’è una buona parte della politica e dei partiti che gli hanno fatto e gli fanno da scendiletto. Guardate il caso del Ponte Morandi: non appena abbiamo comunicato l’intenzione di revocare la concessione ad Autostrade tutti questi poteri sono sobbalzati dalla sedia. È nato il partito dei Benetton, che sta federando tutti gli amici degli amici che in questi anni hanno avuto trattamenti di privilegio, a scapito degli imprenditori che ogni giorno si spaccano la schiena. Io sono dalla parte del lavoro e delle imprese ed è per questo che mi batto contro coloro che fanno concorrenza sleale ai nostri artigiani, ai nostri operai con concessioni vergognose.

Il partito dei Benetton ha un solo obiettivo, andare contro il MoVimento 5 Stelle. Non contro il Governo, ma contro il MoVimento 5 Stelle.

Pensano di farci paura, ma pensano male. Faremo giustizia per le famiglie che hanno perso i loro cari in quel tragico 14 agosto. Non sarà un titolo in borsa a cancellare le loro lacrime. Stateci vicino, questa estate molti italiani pagheranno i caselli autostradali. Abbiamo già bloccato i rincari per tutta l’estate, fino al 15 settembre, e non ci fermiamo!"


Ma le dichiarazioni prive di senno di Di Maio non si fermano qua. Il vicepremier grillino, infatti, si è sentito in dovere di dire la sua anche sulla vicenda, Sea Watch, naturalmente cercando di correr dietro all'alleato leghista per dar contro all'attività della Ong: "Sul caso della Sea Watch invece già mi sono espresso, ma bisogna andare avanti a mio avviso e individuare una soluzione affinché quelle imbarcazioni che se ne fregano delle nostre leggi non tornino più in mare già alla prima infrazione.

Non si deve aspettare oltre. Stiamo studiando una proposta in questo senso: non si può andare avanti sequestrando e poi dissequestrando la stessa imbarcazione, e sta per accadere di nuovo con la Sea Watch 3. Se quella nave torna in mare con un nuovo comandante cosa cambia? Dobbiamo fare in modo che le navi che provocano il nostro Paese, compromettendo anche la sicurezza delle nostre forze dell’ordine com’è accaduto in questi giorni, restino in dotazione allo Stato italiano.

Se entri nelle nostre acque violando la legge, perdi definitivamente l’imbarcazione, senza attenuanti e multe che incidono ben poco. Se forze armate, capitaneria o corpi di polizia lo vorranno daremo a loro le navi confiscate.

Solo in questo modo ridurremo il traffico nel Mediterraneo verso l’Italia. Siamo un Paese rispettoso di tutti, è bene che gli altri inizino a rispettare anche noi".


Che Di Maio non sia particolarmente preparato dal punto di vista culturale è cosa nota. In questi mesi, inoltre, abbiamo appreso che non sia neppure particolarmente furbo, dato che ha consegnato il Governo e il Paese nelle mani dell'alleato che ha la metà dei seggi in Parlamento. Adesso, però, è evidente che Di Maio, reiterando quanto di peggio ha fatto finora, può tranquillamente essere definito anche poco o per nulla intelligente.

Invece di utilizzare la vicenda Sea Watch per iniziare a smarcarsi dalla Lega e rivedere decreti senza senso che violano il diritto internazionale, Di Maio corre a fare il verso al sovranismo di Salvini, parlando di provocazione all'Italia, dimenticando però di spiegare le provocazioni alle leggi internazionali, alla legalità, al buon senso e all'umanità da parte dell'esecutivo di cui fa parte. Oltretutto, senza neppure farci sapere perché 40 persone finiscono per diventare un caso europeo, quando ad altre 300 persone è stato consentito sbarcare dove a quelle, invece, veniva pervicacemente vietato.


Ma chi vive di propaganda evita di farsi domande e, ancor meno, di fornire risposte.