Il cambiamento climatico non minaccia solo gli ecosistemi, ma sta trasformando radicalmente la nostra salute, in particolare attraverso il prolungamento della stagione dei pollini. Con l’aumento delle temperature e la riduzione delle giornate di gelo, le piante rilasciano pollini allergenici per periodi più lunghi, intensificando i rischi per chi soffre di allergie. A questo si aggiunge l’inquinamento urbano, che potenzia l’effetto irritante dei pollini, creando una crisi sanitaria in crescita. Il tema è stato al centro del congresso “Libero Respiro”, organizzato dalla Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica (SIAAIC), dove il presidente Vincenzo Patella ha delineato un quadro allarmante.  

Uno studio statunitense citato da Patella evidenzia come l’aumento delle temperature invernali anticipi la fioritura delle piante, mentre gli inquinanti atmosferici – come PM10, PM2.5, monossido di carbonio e ozono troposferico – aggravano l’impatto sui soggetti allergici. «L’interazione tra ossidi di azoto e zolfo potenzia l’irritazione delle mucose respiratorie», spiega Patella. «Non solo i pazienti allergici, ma anche chi non ha una predisposizione genetica sviluppa sintomi più gravi, soprattutto in primavera». Particolarmente vulnerabili sono bambini e anziani: in quest’ultimi, la combinazione di pollini e inquinanti aumenta il rischio di mortalità per complicanze respiratorie come bronchiti e polmoniti.  

Nelle aree rurali, vento e pioggia mitigano la concentrazione di pollini e inquinanti. Al contrario, nelle città, l’aria stagnante e l’elevata presenza di nitrati – derivanti dai gas di scarico dei veicoli diesel e dall’uso di urea come additivo e fertilizzante – creano un ambiente tossico. «I nitrati, legati anche all’agricoltura intensiva, peggiorano la qualità dell’aria e hanno contribuito a esiti più severi di Covid nel Nord-Est italiano», sottolinea Patella. Un paradosso, considerando che l’urea viene utilizzata per ridurre le emissioni, ma finisce per rilasciare composti dannosi come i nitrili.  

I casi di allergie respiratorie sono passati dall’11% al 16% tra il 2018 e il 2024, con previsioni di un raddoppio entro il 2051. «Studi francesi indicano che l’interazione tra pollini e inquinanti abbasserà la soglia di insorgenza dei sintomi», avverte Patella. L’Italia, tra i dieci Paesi più colpiti dal clima che cambia, vede stagioni polliniche sempre più anticipate e prolungate, con ripercussioni anche in autunno.  

Patella esorta i medici a monitorare con attenzione bambini e over 70, specie se con predisposizione familiare alle allergie. «Sintomi stagionali ricorrenti e progressivi vanno indirizzati allo specialista», afferma. Gli allergologi dispongono oggi di strumenti diagnostici avanzati per identificare le sensibilizzazioni e impostare terapie personalizzate, dall’immunoterapia ai farmaci biologici.  

La combinazione di cambiamento climatico e inquinamento richiede risposte integrate: riduzione delle emissioni, pianificazione urbana sostenibile e maggiore attenzione alla prevenzione.

«Senza interventi strutturali - conclude Patella -, assisteremo a un’escalation di casi. La collaborazione tra istituzioni, medici e cittadini è l’unica via per proteggere la salute respiratoria». Un monito che suona come un appello urgente ad agire, prima che la “tempesta” allergica diventi ingestibile.