"Siamo soddisfatti di aver difeso le persone che rappresentiamo, inducendo il Governo a rivedere una norma profondamente ingiusta. La questione sollevata dalla Cgil e dal Consorzio nazionale Caaf Cgil era più che fondata".

È quanto hanno dichiarato il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari, e la Presidentessa Consorzio nazionale Caaf Cgil, Monica Iviglia, a commento del comunicato diffuso dal Mef.

"Se alle parole seguiranno i fatti, e si interverrà per consentire l'applicazione delle tre aliquote 2025 per la determinazione dell'acconto Irpef - concludono i sindacalisti -, i salari e le pensioni di milioni di cittadine e cittadini, già pesantemente colpiti dall'alta inflazione cumulata in questi anni, non subiranno ulteriori riduzioni".

Questo è ciò che il MEF aveva diffuso in precedenza:

"Relativamente all'applicazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, sono pervenute segnalazioni da parte di alcuni CAF, riportate anche dagli organi di stampa, in merito a un maggior carico fiscale per i lavoratori dipendenti che verrebbero gravati dell'onere di versare l'acconto IRPEF per l'anno 2025 anche in mancanza di redditi ulteriori rispetto a quelli già assoggettati a ritenuta d'acconto.In particolare, il predetto maggior onere fiscale deriverebbe, secondo l'interpretazione riportata dai CAF, dall'applicazione della disposizione contenuta nell'articolo 1, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 216, che, prevedendo la riduzione dal 25 al 23 per cento dell'aliquota IRPEF per i redditi da 15.000 a 28.000 euro e l'innalzamento della detrazione di lavoro dipendente da 1.880 euro a 1.955 euro, ha stabilito che tali interventi non si applicano per la determinazione degli acconti dovuti per gli anni 2024 e 2025 per i quali si deve considerare la disciplina in vigore per l'anno 2023.Al riguardo, si premette che l'incongruenza evidenziata dai CAF deriva dal fatto che le aliquote, gli scaglioni e le detrazioni Irpef sono stati in una prima fase modificati in via temporanea, per un solo periodo d'imposta (2024), e successivamente stabilizzate a regime dal 2025.Inoltre, si fa presente che con la disposizione in questione si intendeva sterilizzare gli effetti delle modifiche alla disciplina IRPEF soltanto in relazione agli acconti dovuti dai soggetti la cui dichiarazione dei redditi evidenziava una differenza a debito di IRPEF, in quanto percettori di redditi ulteriori rispetto a quelli già assoggettati a ritenuta d'acconto.L'intenzione del legislatore non era, quindi, volta a intervenire nei confronti di soggetti, come la maggioranza dei lavoratori dipendenti e pensionati, che, in mancanza di altri redditi, non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi.Pertanto, la disposizione di cui all'articolo 1, comma 4, del d.lgs. 216/2023 va interpretata nel senso che l'acconto per l'anno 2025 è dovuto, con applicazione delle aliquote 2023, solo nei casi in cui risulti di ammontare superiore a euro 51,65 la differenza tra l'imposta relativa all'anno 2024 e le detrazioni, crediti d'imposta e ritenute d'acconto, il tutto però calcolato secondo la normativa applicabile al periodo d'imposta 2024.In ogni caso, in considerazione dei dubbi interpretativi posti, e al fine di salvaguardare tutti i contribuenti interessati, il Governo interverrà anche in via normativa per consentire l'applicazione delle nuove aliquote del 2025 per la determinazione dell'acconto.L'intervento sarà realizzato in tempo utile per evitare ai contribuenti aggravi in termini di dichiarazione e di versamento".

In sostanza, il ministero dell'Economia e il governo hanno dovuto ammettere che la denuncia della Cgil e del Consorzio nazionale Caaf era più che fondata: in base alla norma, lavoratori e lavoratrici dipendenti e pensionati si sarebbero visti calcolare quanto versare all'erario per l'Irpef con la prossima dichiarazione dei redditi, non in base alle tre aliquote della riforma tanto propagandata, ma sulle quattro del 2023.

E così altro che riduzione di tasse, ma un vero e proprio esborso non dovuto.