Continua l'agonia giudiziaria per Julian Assange, sempre collegata alla decisione di estradarlo negli Stati Uniti, dove lo attende il carcere a vita solo per aver fatto conoscere all'opinione pubblica il vero volto delle amministrazioni Usa.

Nell'ultima  udienza della battaglia giudiziaria, i suoi legali hanno fatto appello contro la sentenza di estradizione, dichiarando che il procedimento nei suoi confronti era da considerarsi una forma di ritorsione da parte degli Stati Uniti, una sorta di vendetta per aver rivelato fatti che l'opinione pubblica non doveva conoscere.

Oggi, L'Alta Corte si è espressa dichiarando che ad Assange sarebbe stato consentito ricorrere in appello solo nel caso in cui gli Stati Uniti, nel frattempo, non dovessero fornire solide garanzie in relazione ai capi d'imputazione di cui è accusato.

Il Regno Unito chiede agli Usa che al 52enne fondatore di WikiLeaks sia concesso di poter fare affidamento sul Primo Emendamento che protegge la libertà di parola negli Stati Uniti, di non essere ritenuto già colpevole durante lo svolgimento del processo a causa della sua nazionalità e che non sarà comunque condannato alla pena di morte se dovesse esser ritenuto colpevole.

I giudici dell'Alta Corte hanno concesso alle autorità statunitensi tre settimane per fornire tali garanzie. A seguito di ciò, la decisione sulle garanzie potrebbe essere comunicata in un'udienza che dovrebbe tenersi il 20 maggio.

Se non verranno fornite garanzie, ad Assange sarà concesso  il permesso di ricorrere in appello senza un'ulteriore udienza. Se invece le garanzie verranno fornite, ad entrambe le parti sarà data l'opportunità di presentare ulteriori osservazioni prima di arrivare ad una decisione definitiva sulla richiesta di autorizzazione al ricorso in appello.

Dopo la sentenza, parlando alla folla radunata fuori dal tribunale, Stella Assange ha definito il marito come prigioniero politico, esortando l'amministrazione Biden a rinunciare alle accuse.

"Il verdetto odierno lascia Assange e tutti coloro che difendono la libertà di stampa in un limbo, ma la lotta continua. Invece di insistere ad andare avanti sul piano giudiziario, gli Usa dovrebbero annullare tutte le accuse nei confronti di Assange", ha dichiarato Simon Crowther, consulente legale di Amnesty International.


Crediti immagine: Amnesty International