Riguardo alla sanità, si è spesso discusso delle differenze tra Italia e altri paesi dell'Unione Europea in termini di stipendi e condizioni di lavoro. Tuttavia, le ultime vicende allargano il confronto anche sul tema pensioni, in special modo in relazione al pubblico impiego e al settore della sanità.

Le informazioni, pur parziali ma comunque significative, fornite da alcuni dei paesi che partecipano ai lavori della FEMS (Federazione Europea dei Medici Salariali) mostrano che l'Italia è ancora in coda per quanto riguarda le modalità di accesso alla pensione.

I dati mostrano che l'Italia richiede ai suoi medici un grande sacrificio in termini di durata del lavoro. Non si chiede la flessibilità olandese, dove non c'è un'età minima per andare in pensione, ma basta sapere che in Croazia sono sufficienti 35 anni di contributi per andare in pensione, mentre in Spagna bastano un paio di anni in più.

Bulgaria e Slovenia richiedono ai loro medici quasi 40 anni di lavoro, ma si dimostrano prudenti e lungimiranti perché sono, sorprendentemente, gli unici paesi dell'Unione Europea che riconoscono la professione medica come un lavoro usurante. Infatti, in alcuni settori o specialità come la Radiologia e la Radioterapia, è riconosciuto un fattore di rischio che permette ai medici di andare in pensione in anticipo.

È una magra consolazione sapere che anche in paesi come Croazia, Spagna, Romania esistono professioni (come militari, musicisti, giudici, parlamentari, ecc.) per le quali è riconosciuto il titolo di lavoro usurante o comunque una uscita anticipata dal mondo del lavoro. Quello che rimane incomprensibile è che in Italia non venga applicato quanto previsto dalla Legge di Bilancio 2018 che permette la pensione anticipata dei dipendenti che svolgono lavoro notturno per almeno 64 notti all'anno su turni di 12 ore. In questo caso il numero di turni notturni effettivamente svolti deve essere moltiplicato per un coefficiente di 1,5 rendendo possibile il pensionamento anticipato con 43 servizi di guardia notturni all'anno.

In tutti i paesi la pensione è legata al salario annuale e agli anni di lavoro. Le condizioni di lavoro non sono un fattore preso in considerazione, ma ci si chiede se un medico che in Italia va in pensione a 67 anni abbia lo stesso livello di burn out, insoddisfazione e stanchezza del suo omologo olandese di pari anzianità. Inoltre, i bassi salari in Italia, rispetto ai colleghi europei, creano una diseguaglianza non solo per tutta la durata della carriera, ma anche al momento del meritato riposo.

Il taglio alle pensioni dei medici, proposto nella Legge di Bilancio 2024, colpisce molte più generazioni di medici di quanto si possa immaginare e paradossalmente si accanisce su quelle più giovani (medici classe 1976 ed indietro negli anni) che, con il riscatto dei mesi di laurea svolti prima del 31 dicembre 1995, potrebbero usufruire di un sistema misto contributivo e seppur in minima parte retributivo, vantaggioso ai fini dell'assegno pensionistico.

Al netto di un possibile passo indietro, rispetto ad una legge iniqua, rimarrà la rottura di un rapporto fiduciario tra i medici del Sistema Sanitario Nazionale ed un Governo che, con inaspettata e schizofrenica dicotomia, ha prima dichiarato la volontà di garantire il diritto alla salute pubblica per poi agire con norme che spingono i professionisti della Sanità ad abbandonare un lavoro che è base e garanzia di uno stato sociale sano e produttivo.


Fonte: Quotidiano Sanità