Nell’arte dell’intrattenimento abbiamo talenti che esplodono più o meno all’improvviso. Piacevoli scoperte che dal loro ambito di maestranza vengono proiettati a “talent scout” di arti affini a tutto tondo. Barzellettieri, comici, rapper, trapper, attori, cantanti, ballerini, e così via, tutti rigorosamente di “primo pelo”, diventano sempre più spesso giudici di ogni altra arte dell’intrattenimento: dalla recitazione alla danza; dalla musica a quant’altro.

A proposito di musica. C’è il “tormentone” che entra in testa. Si può anche odiare quella melodia insulsa, detestandone il motivetto banale con tutte le forze, ma siamo destinati a canticchiarlo. Lo faremo. Non diciamo di no!

Alla fine risulterà anche simpatico. Si dirà: «Però! Sono dei geni. Sanno come confezionare un pezzo sbarazzino e fortemente orecchiabile. Dai, non sarà arte, sarà banale, ma funziona per quello che deve». E funziona davvero? Sono veramente dei geni dell’intrattenimento musicale spicciolo? C’entra qualcosa il fatto che viene diffuso in maniera così pressante e martellante, in ogni dove?

In una domanda: E’ talento o no?

E’ talento, secondo me. Anche per confezionare un tormentone, e poi farlo cantare, occorrono delle doti di scouting e comunicative precise, al di là della diffusione pubblicitaria sparata a mille su tutti i canali e a tutte le ore. I fenomeni virali spontanei (rari) o pilotati (consueti) sono anche di due tipi: quelli che esprimono capacità e suscitano apprezzamenti, e quelli palesemente trash. E sfondano sempre entrambi (specialmente i timpani).

Difficile riscontrare tormentoni nel cantautorato. Lì c’è un talento diverso; sempre musicale, ma diverso. Non ci metteremo a disquisire su quale sia quello migliore perché non è questo lo scopo della mia riflessione, ma teniamo a mente che anche nello stesso settore artistico emergono sfumature e differenze sostanziali.

In altro tipo di arte, come quella più affine allo spettacolo più puro dell’intrattenimento spensierato e spassoso, troviamo personaggi come il bravo Khaby Lame. Innegabile il suo talento nell’aver saputo intercettare e interpretare un sistema espressivo arguto e spiritoso. Un artista della freddura che si prende gioco dell’inutilmente complesso e artificioso, con intelligente semplicità e spontaneità. Peraltro uno di quei fenomeni virali rari che si producono attraverso il continuo apprezzamento e passaparola dei “like” e dei “segui”, via via esponenziali. Non sappiamo, però, quanto la “massa critica” abbia contribuito a creare il fenomeno piuttosto che scoprire il talento.

Khaby Lame è anche un tormentone, se volessimo fare un parallelismo con l’arte musicale. E’ quel motivetto che ti entra in testa anche se non sai cosa fartene. Dietro potrebbe esserci un artista di tormentoni spassosi per intrattenere, con altre idee che magari si apprezzeranno in futuro. Perché un singolo tormentone è sempre destinato all’oblio, per essere di tanto in tanto riesumato come piacevole meteora. Se Khaby Lame è anche questo lo scopriremo certamente in futuro. A me è molto simpatico e quindi faccio il tifo per lui (anche se oggi non ne ha certo bisogno).

Faccio però il tifo anche per altri giovani artisti come Samuel Pietrasanta, che con una chitarra, una cassa, e la sua straordinaria voce, ti rapisce nel suo acustico per due ore facendo totalmente suoi alcuni brani memorabili della canzone italiana e internazionale. Mi è capitato di apprezzare una sua esibizione proprio qualche giorno fa, grazie a mia figlia che aveva già avuto modo di vederlo. E tifo anche per Luca Di Stefano, altro giovanissimo che qualche anno fa mi stroncava con la sua interpretazione di “Just the way you are”; degno erede di Barry White e del nostro Mario Biondi (su 4 persone citate ci sono 3 catanesi, ma vi assicuro che è puro caso e non campanilismo siculo del sottoscritto).

Due professionisti usciti dai talent televisivi e conosciuti successivamente per strada, locali e pub, spesso poco degni di averli ospitati. Fanno parte di quelli che ancora il firmamento del business musicale stenta a collocare, se non disinteressandosi del tutto. Come loro decine di altri a cui faccio torto non citandoli.

Sarà mai possibile che questi ragazzi, dal talento musicale straordinario, possano giudicare l’arte ironica di Khaby Lame? O viceversa.

Può succedere, e sarebbe normale. Se però ciascuno si spoglia della propria “arte” e non usa l’occhio professionale che non può competergli, improvvisandosi scopritore di talenti del tutto estranei dal proprio (ma anche del proprio, in molti casi). Se quel giudizio è dunque di puro gradimento, come il giudizio del pubblico che naturalmente non opera su parametri tecnici e doti intuitive sulle capacità altrui, ma unicamente sull’emozionalità soggettiva.

Questo può chiamarsi giudizio e decretare la sorte di chi si esibisce?

La patata bollente l’ha colta in questo caso il nostro Khaby Lame, che ha già partecipato come giudice alle registrazioni della nuova edizione di Italia’s Got Talent. E prima di lui tanti altri giudici delle stagioni passate e presenti, pescati attraverso l’indice di popolarità, ancorché di competenza, per dare lustro allo show ma essere forse poco utili alla comprensione dei tanti e diversi talenti che si avvicendano sul palco. Penso…

Dei talent e dei giudici si dovrebbe parlare in un capitolo a parte, al quale per la verità sono molto poco interessato.

E’ anch’esso spettacolo. Se ne giovino i giovini per farsi conoscere dal pubblico e non badare ai giudizi e al “primo posto”, tanto poi chi vince ha spesso sorte simile. L’unico giudice rimane sempre e solo il pubblico. Mentre il rammarico è quello di conoscere tanti talenti che poi si perdono nell’oblio del disinteresse commerciale, che mira sempre ai “prodotti” e molto poco all’Arte.

Avrete compreso il punto. La competizione nell’arte dell’intrattenimento appare una sciocchezza; similmente al giudizio soggettivo del singolo inesperto o dei veri scopritori di talenti, che in massima parte tendono a valutarne commerciabilità di massa e monetizzazione, rifuggendo dalle nicchie. Spesso prevale anche il nepotismo che adombra il vero talento selezionandone uno approssimato, magari anche più gestibile, e compensandolo con la promozione a tutto spiano.

Chi resta indietro avrà avuto perlomeno l’opportunità del palco. E che non si arrenda perché il suo pubblico esiste. Sarà solo più in salita, a volte anche tanto, ma un vero talento che ha la giusta caparbietà emerge sempre. Altrimenti anche l’intrattenimento meritevole si spegnerebbe. E già si sta alquanto appiattendo e banalizzando in un enorme minestra trash.



📸 base foto: Edgar Degas, “Ballerine” (1884-1885, pastello), Museo d'Orsay, Parigi