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Giuseppe Garibaldi, nato a Nizza, 4 luglio 1807, è... già, chi è? Fino a ieri non avevamo quasi dubbi.

Se ben disposti nei suoi confronti, come succedeva quando si studiavano i primi rudimenti di storia alle elementari, nei primi decenni del dopoguerra, lo si considera un  condottiero, uno dei padri della patria. Se viceversa si ritiene quello dell'unità d'Italia uno sciagurato progetto, egli diviene un avventuriero donnaiolo e corsaro: poco meno di  un teppista, insomma, aizzato dai compari suddetti, Mazzini, Cavour, più re Vittorio Emanule Secondo, che si incaponirono con la faccenda del Risorgimento.

E' impossibile, anche per i più giovani, non conoscerlo, non foss'altro per i monumenti a lui dedicati un po' in tutte le piazze d'Italia; quasi ovunque vi è un'importante arteria con il suo nome; inoltre, poichè la sua attività si è dispiegata tra Europa e Sudamerica, è noto come l'Eroe dei due Mondi: troppo, per una sola vita.

 Nizza, nel 1807 era francese, ma lo rimase per poco; tornò all'Italia, o meglio al Regno di Sardegna che ne era il nucleo originario, dopo il congresso di Vienna del 1815, per poi essere restituita nel 1860, dopo l'Unità: un guazzabuglio come altri, che fa riflettere sulle tanto conclamate identità nazionali. Infatti il nostro non interiorizzò un'appartenenza precisa e questo probabilmente facilitò la sua adesione all'idea di essere un cittadino del mondo.

Questo aspetto del personaggio non è mai stato scandagliato, per evidenti ragioni: non serve, è pericoloso. Ma forse era l'unico suo scopo, fallito su tutta la linea: convertire gli abitanti del pianeta alla cittadinanza globale. Illuso ma non illusionista quanto sarebbe servito, ha venduto, inconsapevolmente, i suoi ideali a chi ne fece l'uso che meglio credeva.

Una identità c'era, né egli l'avrebbe mai rinnegata (le cose forti non si sbandierano, le porti con te senza clamore): Giuseppe era un ligure doc, discendendo da padre chiavarese, capitano di lungo corso, e madre di Loano. Era in compagnia di tre fratelli, uno maggiore, due più piccoli. 

Il buongiorno si vede dal mattino e dunque Giuse, vivace e scapicollo, non volle studiare, anzi tentò vari ammutinamenti, ricondotto alla ragione solo da un istitutore privato di cui apprezzò soprattutto gli insegnamenti di storia romana (rieccola). Amava l'avventura, non avrebbe fatto il leguleio o il dottore come volevano in famiglia. A Genova si imbarcò da mozzo, finendo, come prima destinazione, e poi  di nuovo in seguito, dalle parti del Mar Nero. Poi capitò  a Istanbul dove, grazie alla storica presenza genovese, sbarcò il lunario addirittura come insegnante di lingue. Queste traversate non erano mai tranquille: gli assalti corsari erano frequenti e il giovane dovette sostenere scaramucce e buscarsi delle ferite, ma non se ne spaventò e ne riportò il titolo di capitano.

 Pare che il soggetto fosse nato con il diavolo in corpo e destinato a piantar grane in giro. Tuttavia non dovette essere ininfluente aver trovato, in navigazione e nel vicino oriente, profughi e seguaci di filosofie umanistico rivoluzionarie  (Saint Simon)  che lo sensibilizzarono sulla necessità della liberazione degli oppressi e sul concetto della terra come patria comune. L'incontro con un mazziniano canalizzò le sue energie irredentiste nel progetto "Italia" e la sorte fu segnata. Quasi certamente incontrò Mazzini stesso, durante l'esilio di questi  a Londra. Il genovese, portatore di una versione intellettuale dell'impresa risorgimentale e gravato dall'accusa di aver dato alla stessa l'impronta massone da cui proveniva, aveva trovato il braccio operativo.

Senza  voler imprimere un tono troppo disinvolto all'interpretazione dei fatti, nemmeno si può negare che Garibaldi fu considerato all'epoca un agitatore.  In Marina, dove si era arruolato, diffondeva idee eversive con uno pseudonimo preso a prestito dalla guerriglia dell'antica Tebe, tanto da essere spostato di forza su un'altra nave regia; fuggito, risultò disertore  e fu inseguito dalla condanna alla pena capitale.

Continua...