Esistono dei luoghi che appartengono ormai allo spazio metafisico della memoria umana, spogliati del loro valore etimologico-fisico, per rimanere nella proiezione mitica del sogno, dell’attesa elettiva di rinascita di una società che nel frattempo ha cambiato forma e spazio. Questa potenziale rinascita rimane, per così dire, intrappolata in un limbo e non riesce a ri-materializzarsi per la volatilità degli spazi fisici, la frammentarietà, la dispersione e la “non esigenza” della loro rinascita. Non andrò alla radice della parola Agorà, ognuno di noi ha il ricordo più o meno vivo delle lezioni di storia, ma mi soffermerò sulla scoperta e riflessione che ho fatto di recente, per un caso concreto del tutto accidentale (è il caso di dirlo). Ecco la storia. Storia perché non dobbiamo dimenticare che le nostre storie possono aspirare a divenire al massimo esempi di vissuto per gli altri, fragili suggestioni, ma non devono, né possono, avere la pretesa di diventare guide o nuovi paradigmi di verità.

La storia ebbe inizio il 3 ottobre del 2023, mentre mi recavo a prendere un caffè, a “bordo” della mia nuova bicicletta (specifico a bordo ironicamente perché sia nel preparativo che nel suo sfoggio consideravo la mia mountain bike, un po’ come un aereo da caccia). Di solito, con zaino in spalle e all’interno computer e occorrente da lavoro, la usavo per fare i 6/7 km che dividevano la mia casa dal luogo di lavoro all’interno di un grande centro commerciale munito di attacco Wi-Fi e corrente. Quella mattina, invece, ero leggero (senza zaino) e avrei fatto poco più di 300 metri fino ad un altro centro commerciale, per un semplice caffè, di cui sono sempre stato fiero e italico cultore, specie se consumato in pubblico. Poi, più nulla. Black-out. Ero improvvisamente caduto con il mio “aereo da caccia” a pochi metri dalla destinazione. Ero rovinosamente finito con la faccia a terra, sulla colata rosea di una pista ciclabile, svenendo e non ricordando più nulla dell’accaduto. Il risveglio al pronto soccorso, con mia moglie presente, avvenne con un brutale conato di sangue. Il risultato della caduta, d’altro canto, non era incoraggiante: trauma cranico e frattura della mandibola destra, più poli fratture facciali in altre aree del volto. Nessuno sapeva come fosse esattamente successo, Colpito da una macchina? Per un malore? Per evitare un pedone, un ciclista, un monopattino? La cosa tragica, al di là dell’incidente, è che nessuno lo saprà mai. Il TC infatti crea molto spesso amnesie su tutto ciò che accade subito prima dell’incidente, mentre e subito dopo. E’ una sua impietosa caratteristica. Il movimento brusco del cervello nella scatola cranica cancella, come in un Hard Disc difettoso, proprio i dati che più servirebbero a ricostruire la memoria dell’infortunato. Rimane il racconto verbale, dal sapore quasi epico, secondo il quale un angelo custode nella figura di una donna di colore sarebbe rimasto lì a custodire il mio corpo semi incosciente e consentire di chiamare i soccorsi o i vigili. Anche di lei più nulla, forse era davvero un angelo?

Il tema della storia, però non è il trauma cranico, ma le sue inattese e per certe versi miracolose conseguenze. Non ripercorrerò qui, la lunga e faticosa strada per la ripresa psicofisica. Posso solo ricordare che è stata lunga e dolorosa, perché ai sintomi post traumatici di tipo fisico si sommano quelli psicologici, in un groviglio inestricabile in cui quelli reali e quelli di fantasia ti punzecchiano complici senza tregua. Il letto, infatti, ha coperto quasi due mesi e mezzo sui quattro ormai passati. Sensazione di instabilità e vertigini e una sonnolenza incontenibile (che poi ho scoperto essere una delle tante conseguenze di un TC) mi impedivano di tirarmi su. Più passavano i giorni e più, per paura di provare quelle sensazioni sgradevoli, il cervello si arrende e sembra dire: “cosa posso fare se una mente confusa dice al corpo che sta male“. Inutile ricordare la disperazione e i mantra di incoraggiamento di coloro che mi stavano intorno, in particolare mia moglie Claudia, alla quale va tutta la mia gratitudine e amore, perché ha avuto il delicato compito di traghettarmi verso una rinascita, cercando il difficile compromesso tra lo starmi vicino e il non assecondare le mie ossessioni e paure.

L’ostacolo principale al terzo mese, era quello di riappropriarmi di un’apparente normalità, superando i tremendi ostacoli, in larga parte di natura psicologica. Così, cercai di riprendere il lavoro interrotto quel fatidico giorno. La cosa fu lunghissima, ricordo le telefonate di disapprovazione di familiari e di Claudia per il mio reiterato tentativo di rifugiarmi nel letto ad ogni malessere, procrastinando ostinatamente il ritorno ad una via normale. Poi le telefonate di appoggio e solidarietà del mio amico, “chi trova un amico trova un tesoro“, c’è scritto nel Siracide. Le persone coinvolte non si rendono conto e non accettano (e questo per il bene dello stesso malato) le conseguenze di un TC. L’altro aspetto che ha pesato sulla mia coscienza, è l’essermi reso conto che genitori di una certa età che dovresti essere tu ad accudire, tornano a prendersi cura di te come tu fossi tornato un bambino senza difese. Tra l’altro, il giorno della mia caduta sarei dovuto andare ad accompagnare mia madre nello stesso ospedale, Hmanitas, dove poi sono stato ricoverato anch’io lo stesso giorno!


Fortuna

Sono stato comunque tra quelli che non hanno subito, come accertato in seguito, danni cerebrali, danni alla vista, altre fratture o danni a organi vitali. Pensiamo a quanti non sono più qui per raccontarlo o quanti hanno subito danni irreversibili da semplici cadute come queste. Un esempio tristemente famoso, è quello che ha colpito il pilota Schumacher, che sta combattendo da anni contro una forma gravissima di lesione cerebrale in seguito ad un violento TC. Per me, invece, La mandibola rotta, è l’unica cosa fisico meccanica che sento ancora quotidianamente oggi, la sensazione di un corpo distaccato dal resto della bocca. Del resto 8 chiodi, di cui 4 permanenti, e due placche non passano inosservati al delicato equilibrio muscolare e nervoso dell’organo, da cui passa cibo e pensieri sotto forma di parola. Il TC, richiede comunque tempi molto lunghi per essere riassorbito, la vita quotidiana è costellata, per mesi, da continui alti e bassi, paure e ansie irrazionali, che sfociano in vere e proprie ossessioni e fobie. I danni psicologici e la depressione si accomodano a tradimento molte settimane dopo l’incidente e permangono a lungo. La paura di morire, a sua volta figlia dell’incertezza su come siano andate le cose, spesso si manifesta nelle forme più subdole e confuse dei dirottamenti fisici e psicologici. In questi ultimi due giorni, ad esempio, dopo aver terminato un lavoro per mia moglie, che mi ero preso l’impegno di concludere rapidamente e a cui va il merito di avermi in qualche modo scrollato dal mio stallo, ho provato il desiderio di tornare a letto e ho ricominciato ad accusare malesseri. Suggestione? Certo che sì.

Comunque, nonostante tutto, ho cercato di riprendere vita frequentando, tra l’latro, un psicoterapeuta specializzata in problemi post-traumatici. La strada sembra essere ancora lunga e faticosa.

Ricordo il primo giorno che sono andato a piedi fino allo stesso supermercato davanti al quale ero crollato. Stavo ancora molto male, le vertigini (o meglio definirla instabilità) mi rendevano impossibile camminare senza tirare a destra. Avevo, come mi piace definirle, le gambe dell’astronauta. Eppure arrivai alla destinazione. Provai una profonda gratitudine. Era un giornata di sole, e la luce intensa della mattina lampeggiava tra i rami spogli degli alberi. Avevo la sensazione di aver scalato una montagna. La luce di cui parlo era viva, vivente, era materia organica e di spirito. Era l’anticipo di quello che provai dopo e che descrivo nel capitolo, la luce ovunque.


continua...