Giovedì, dopo il discorso del giorno prima al Congresso che potremmo definire non tanto degli Stati Uniti quanto dell'AIPAC (circa i due terzi dei rappresentanti sono infatti finanziati dalla lobby sionista che promuove gli interessi di Israele), il premier israeliano ha incontrato il presidente Biden e la vicepresidente Harris, da poco candidata dem alle presidenziali 2024.
Il Presidente Biden - riporta una nota della Casa Bianca - ha incontrato il Primo Ministro Netanyahu alla Casa Bianca. Il Presidente e il Primo Ministro hanno discusso in dettaglio gli sviluppi a Gaza e le trattative in corso sul cessate il fuoco e l'accordo di rilascio degli ostaggi. Il Presidente Biden ha espresso la necessità di colmare le lacune rimanenti, finalizzare l'accordo il prima possibile, riportare a casa gli ostaggi e porre fine in modo duraturo alla guerra a Gaza. Il Presidente ha anche sollevato il problema della crisi umanitaria a Gaza, la necessità di rimuovere qualsiasi ostacolo al flusso di aiuti e ripristinare i servizi di base per i bisognosi e l'importanza critica di proteggere le vite dei civili durante le operazioni militari. Il Presidente Biden ha ribadito l'impegno ferreo degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele contro tutte le minacce provenienti dall'Iran e dai suoi alleati, tra cui Hamas, Hezbollah e gli Houthi.
Questa invece, sempre diffusa dalla Casa Bianca, la nota con cui sono stati riassunti i contenuti del colloquio tra Netanyahu e Kamala Harris:
"La vicepresidente Kamala Harris ha incontrato oggi il primo ministro israeliano Netanyahu alla Casa Bianca. La vicepresidente ha ribadito il suo impegno di lunga data e incrollabile per la sicurezza dello Stato di Israele e del popolo di Israele. Entrambi hanno discusso del lavoro dell'amministrazione Biden-Harris per garantire che Israele possa difendersi dalle minacce dell'Iran e dei gruppi terroristici sostenuti dall'Iran, tra cui Hamas, il movimento libanese Hezbollah e gli Houthi, e dell'importanza di combattere l'aumento dell'antisemitismo a livello globale. La vicepresidente ha nuovamente condannato Hamas come un'organizzazione terroristica brutale, nonché gli individui che si associano ad Hamas, osservando che i graffiti e la retorica pro-Hamas sono abominevoli e non devono essere tollerati.La vicepresidente e il primo ministro Netanyahu hanno discusso degli sviluppi a Gaza e delle negoziazioni in corso sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. La vicepresidente ha fatto eco al presidente Biden nell'esprimere la necessità di colmare le lacune rimanenti, finalizzare l'accordo il prima possibile, riportare a casa gli ostaggi e porre fine in modo duraturo alla guerra a Gaza.La Vicepresidente ha espresso preoccupazione per le vittime civili e ha discusso della necessità di alleviare la crisi umanitaria a Gaza. La Vicepresidente ha inoltre espresso la sua preoccupazione per le azioni che minano la stabilità e la sicurezza in Cisgiordania, come la violenza dei coloni estremisti e l'espansione degli insediamenti".
Più importanti, però, le dichiarazioni rilasciate dalla Harris ai giornalisti a commento dell'incontro, quando ha dichiarato che non sarebbe rimasta "in silenzio" alle sofferenze di Gaza:
"Quello che è successo a Gaza negli ultimi nove mesi è devastante. Le immagini di bambini morti e persone disperate e affamate che fuggono per mettersi in salvo, a volte sfollate per la seconda, terza o quarta volta", ha detto Harris ai giornalisti. "Non possiamo distogliere lo sguardo di fronte a queste tragedie. Non possiamo permetterci di diventare insensibili alla sofferenza e non starò in silenzio".
Poi ha aggiunto:
"Israele ha il diritto di difendersi. E il modo in cui lo fa è importante".
Naturalmente, i commenti successivi a tali affermazioni da parte di Israele non si sono fatti attendere. Netanyahu, per il momento, li ha espressi per interposta persona, tramite un funzionario "anonimo" che alla stampa di Tel Aviv ha dichiarato che le parole della vicepresidente potrebbero complicare gli sforzi per raggiungere un accordo con Hamas per liberare gli ostaggi e porre fine alla guerra a Gaza.
In pratica, Netanyahu ha già trovato l'ennesima scusa cui aggrapparsi per addossare ad altri la responsabilità di un nuovo stallo nei colloqui per il cessate il fuoco che, da un certo punto di vista, sono diventati una tragica barzelletta.
Infatti, tutti sanno che ad ostacolare le trattative è lo stesso Netanyahu che non vuole un cessate il fuoco che progressivamente ponga fine al conflitto, perché in quel caso per lui verrebbe meno il supporto al governo da parte dei leader dei terroristi ebrei (etichettati come coloni) che devastano la Cisgiordania, Smotrich e Ben Gvir. La caduta dell'attuale governo significherebbe la fine politica di Netanyahu, per il quale si concretizzerebbe anche la possibilità di dover finire in carcere.
Pertanto, perché il premier israeliano dovrebbe favorire un accordo di pace che per lui non ha che riscontri negativi? E se ad una persona del genere importa zero il destino dei detenuti palestinesi, figuriamoci quanto possa interessare il destino dei civili palestinesi a Gaza.
Il guaio, però, è che il sostegno internazionale nei suoi confronti continua a scemare anche dagli alleati storici, oltre che ottusi, di una volta... come Keir Starmer.
Oggi, infatti, il governo del neo premier laburista ha reso noto che la Gran Bretagna non si opporrà ad una eventuale emissione dei mandati di arresto della Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu e Galant, per i quali il precedente governo conservatore a guida Sunak aveva sollevato dubbi di giurisdizione.