In occasione della Giornata Internazionale della Donna, celebrata l'8 marzo in tutto il mondo con appelli alla parità di genere e al riconoscimento dei diritti femminili, la comunità internazionale non sembra essersi ricordata della situazione delle donne palestinesi nella Striscia di Gaza, che stanno affrontando una crisi umanitaria senza precedenti, segnata da violenze, lutti e abbandoni.

I dati diffusi dall'ufficio stampa del governo di Gaza, guidato da Salama Maarouf, dipingono un quadro agghiacciante della condizione delle donne gazawi sotto l'occupazione dell'esercito dello stato ebraico, una condizione simile a una "morte lenta" causata dalla fame, dalla sete e dalla mancanza di cure mediche.  

Secondo il rapporto presentato da Maarouf, dal 7 ottobre 2023 sono state uccise oltre 12.316 donne, molte delle quali in circostanze descritte come "uccisioni a sangue freddo". A queste si aggiungono 13.901 vedove, private non solo dei loro mariti ma anche del sostegno economico, in una società dove il capofamiglia è spesso l'unica fonte di reddito. Circa 17.000 donne hanno perso i loro figli sotto i bombardamenti, mentre 50.000 donne incinte hanno partorito in condizioni "disumane", senza accesso a strutture sanitarie adeguate, farmaci o assistenza ostetrica.  

La crisi sanitaria è ulteriormente esacerbata dalla diffusione di malattie infettive: 162.000 donne risultano contagiate, in un contesto dove ospedali distrutti e carenza di medicinali rendono impossibile qualsiasi forma di prevenzione o cura. Almeno 2.000 donne e ragazze, inoltre, subiranno disabilità permanenti a causa di amputazioni degli arti, spesso effettuate senza anestesia o in condizioni igieniche precarie.  

Maarouf ha sottolineato come la sofferenza delle donne palestinesi non sia un fenomeno recente, ma una realtà stratificata sin dalla Nakba del 1948, l'esodo forzato che segnò la nascita dello Stato ebraico di Israele. Oggi, tuttavia, la situazione raggiunge livelli inediti: il nuovo assedio totale imposto su Gaza, che si somma a quello "quasi totale" dei mesi scorsi, blocca gli aiuti umanitari, lasciando 2,3 milioni di persone, di cui oltre la metà donne e bambini, senza cibo, acqua potabile ed energia.  

«Vivono in tende sovraffollate costrette a bere acqua contaminata e a sopravvivere con meno di un pasto al giorno», ha dichiarato Maarouf, denunciando anche le decine di donne arrestate e torturate nei centri di detenzione israeliani.

«Dove sono la comunità internazionale e le organizzazioni per i diritti delle donne? Perché tacciono di fronte a questa tragedia?»

Le parole di Maarouf risuonano come un monito alla coscienza globale. Mentre l'ONU segnala che il 97% dell'acqua di Gaza è contaminata e che il 90% della popolazione soffre di insicurezza alimentare, gli aiuti umanitari continuano a rimanere bloccati ai valichi. Le organizzazioni umanitarie denunciano ripetutamente le violazioni del diritto internazionale, ma senza che le nazioni, pure quelle del cosiddetto occidente democratico, abbiano fatto alcunché di concreto per fermare il genocidio in atto.  E non bisogna dimenticare che quanto è accaduto e sta accadendo a Gaza non è diverso a quanto sta accadendo anche in molte località dei Territori Occupati, a Gerusalemme est e in Cigiordania.

Questa Giornata della Donna diventa così un simbolo di resistenza per le donne di Gaza, costrette a farsi carico delle famiglie, a lottare per la sopravvivenza quotidiana e a piangere i propri cari in solitudine. La loro storia non è solo una questione palestinese, ma un test etico per il mondo intero: fino a quando la comunità globale resterà a guardare?