In questi ultimi anni, dopo l’invasione Russa dell’Ucraina, i dibattiti politici in Europa sono stati dominati da slogan ripetuti come un mantra: "C’è un aggressore e un aggredito", "La Russia deve perdere la guerra", "La Russia deve essere logorata". Ma, dietro queste affermazioni, quanto i cittadini europei sono stati davvero consultati sul sostegno militare all’Ucraina e sull’approccio alla guerra? Molti si chiedono se il prolungamento di un conflitto già devastante sia stata una decisione condivisa o imposta dall’alto.

Le conseguenze del conflitto russo-ucraino hanno lasciato segni tangibili sull’economia europea e sulla vita quotidiana dei cittadini. Aumenti dei costi energetici, inflazione e instabilità economica hanno colpito duramente le famiglie. Nel frattempo, sul fronte ucraino, la guerra ha causato migliaia di morti, distruzioni immani e un esodo massiccio di rifugiati. Quanti innocenti hanno perso tutto? Quanti sono stati costretti ad abbandonare la propria terra?

E ora, mentre si ipotizza che con l’intervento statunitense una soluzione di pace tra Russia e Ucraina possa emergere nei prossimi mesi, il mondo politico si prepara a una corsa per la firma di nuovi contratti e il ripristino degli accordi già stipulati. Ma se quella guerra sembra avviarsi verso un epilogo, un altro conflitto ancora più intricato si consuma in Siria.

Il teatro siriano rappresenta una sfida geopolitica che coinvolge attori regionali e internazionali. Dalla guerra civile scoppiata nel 2011, la Siria è diventata terreno di scontro tra potenze con interessi divergenti. La Turchia, membro della NATO e alleato dell’Unione Europea, ha giocato un ruolo controverso. Accusata di aver sostenuto gruppi islamisti e jihadisti, compreso l’ISIS in passato, Ankara ha armato formazioni ribelli per indebolire il regime di Bashar al-Assad e, soprattutto, per colpire i curdi.

Le regioni curde della Siria, conosciute come Rojava, hanno vissuto negli ultimi anni un’esperienza di autogoverno democratico. Il Rojava è parte del Kurdistan, una terra divisa nel 1923 per decisione delle potenze europee. La Turchia, guidata da Recep Tayyip Erdogan, sembra determinata a cancellare questa autonomia. Sostiene Ahmed Al-Shara, alias Al Jolani, leader con un passato legato ad Al Qaeda, come futuro capo di un governo islamico siriano.

La minaccia di Erdogan è chiara: i curdi devono arrendersi e accettare il nuovo ordine islamico, oppure saranno schiacciati. Questa posizione pone interrogativi sul ruolo dell’Unione Europea. I politici europei parlano spesso dei diritti dei curdi, ma cosa intendono esattamente? Diritto alla cittadinanza in stati ostili o diritto di governare la propria terra in autonomia? E soprattutto, l’Europa avrà il coraggio di opporsi alle azioni di Erdogan? I dubbi su una presa di posizione concreta da parte dell’UE sono forti.

Mentre si affrontano queste crisi, l’Unione Europea appare intrappolata in un deserto politico, incapace di agire con una strategia chiara e unitaria. Da una parte, gli interessi economici e geopolitici la legano alla Turchia, dall’altra, la retorica dei diritti umani rischia di rimanere una facciata. In un mondo sempre più polarizzato, l’Europa sembra arrancare, tra ambiguità e indecisioni.

Il Rojava (ovest) deve essere governato dai curdi, legittimi abitanti di quella regione del Kurdistan. 

Kawa Goron