A cura di Lorenzo  Aita Comitato Tecnico Scientifico ANPPE

Si era chiuso il 2021 con un dato davvero im­pressionante: 159.437 ettari di superfici boscate e non devastati dalle fiamme, il 154,8% in più di quelli inceneriti nel 2020 (un dato che è sicuramen­te sottostimato, visto che il sistema di monito­raggio europeo prende in considerazione solo gli incendi che hanno interessato una superficie non inferiore ai 30 ettari). E quest’anno abbiamo notato un ulteriore aumento, accanto alle temperature elevatissime e una drammatica siccità che ha colpito tutto il Bel Paese, non di meno la sua capitale simbolo del problema che va dalla gestione dei rifiuti a quella della non curanza delle aree verdi. I dati degli interventi effettuati dai Vi­gili del fuoco per incendi boschivi e vegetazione in genere parlano chiaro: dal 15 giugno al 21 lu­glio sono stati 32.921, 4.040 in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Accanto a loro hanno affrontato le fiamme tanti volontari e volontarie della Protezione civile, che però hanno una competenza limitata alla gestione dell’emergenza, ottenendo poco nella fase attiva di spegnimento. 

Allo spirito di sacrificio di Vigili del fuoco e vo­lontari si affianca l’impegno delle Forze dell’ordi­ne sul versante della repressione: sono stati nel 2021 ben 5.385 i reati accertati, il 27,2% in più ri­spetto al 2020. Sono cresciute anche le persone denunciate (658, con un incremento del 19,2%), anche se continuano ad essere ­sottodimensio­nate rispetto ai reati, così come i sequestri: 107, con un +35,4% rispetto al 2020. A confermare le grandi difficoltà che ancora si incontrano nell’individuazione dei responsabili dei roghi è il dato relativo agli arresti: appena 16, comprese le due ordinanze eseguite in Sicilia dai Carabinieri della stazione di Noto, in provincia di Siracusa, due in meno del 2020. La regione più colpita è sta­ta la Sicilia, sia come numero di reati (993), che come ettari attraversati dalle fiamme (81.590, il 51,3% del totale nazionale), seguita da Calabria (674 reati e 35.480 ettari inceneriti), Puglia (601 reati e 3.660 ettari colpiti) e Campania (553 reati e 5.564 ettari in fiamme). Nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa si concentra il 52,4% dei reati e il 79,1% delle superficie andata in fiamme. Usando solo il parametro delle aree attraversato dal fuoco, spiccano il terzo posto della Sardegna, con 19.228 ettari, e la quarta posizione del Lazio (6.854 ettari). 

Presto ancora per valutare l’impatto del decreto legge 120/21, approvato lo scorso 8 settembre, poi convertito nella legge 155/2021, ma anche i dati elaborati dall’EFFIS (European Forest Fire Information System), nel periodo che va dal primo gennaio al 15 luglio di quest’anno non sono, purtroppo, rassicuranti: ad andare in fumo, infatti, sono stanti già 26.270 ettari. 

L’Italia non è certo il solo a dover af­frontare questa emergenza ma anche altri 22 Stati membri dell’UE (solo Estonia, Lussemburgo, Malta e Paesi Bas­si ne sono stati immuni), che hanno attraversato un’area bruciata totale di 500.566 ettari. Agosto è stato il mese durante il quale si è verificata una parte significativa dei danni e la Grecia è stato il Paese più colpito, anche davanti ad una prevenzione che stenta a decollare. La tipologia di copertura del suolo UE più colpita è risultata quella agricola con il 25%, tut­tavia, nell’insieme le diverse categorie di foreste rappresentano il 28% della superficie totale bruciata. 

Il Rapporto sugli incendi boschivi nel 2021 in Europa e nell’area del Mediterraneo (Forest Fires in Europe, the Middle East and North Africa) rea­lizzato dal Centro Comune di Ricerca (JRC) della Direzione generale Ambiente (DG-ENV) della UE sulla base del sistema EFFIS e GWIS (Sistema mondiale di informazione sugli incendi), ha rile­vato che incendi grandi ed estremi hanno colpito molti paesi, in particolare nel bacino del Mediter­raneo: sono stati osservati incendi in 39 Paesi, che hanno bruciato 1.113.464 ettari. Il dato mostrato è importante perché stiamo di fronte ad un’area grande quasi quanto tutta la Regione dell’Abruzzo, e questo sul cambiamento climatico inciderà tantissimo. 

Il lavoro a riguardo sta andando avanti e traguardi non dà poco sono stati raggiunti, anche se solo parzial­mente è stato raggiunto con la legge 155/2021, questa ha introdotto nella nostra normativa l’incendio di interfaccia urbano-rurale; ha codificato il fuoco prescritto come misura di prevenzione; messo a disposizione 140 milioni di euro da spendere en­tro il 2023 e altri 150 a valere sui fondi del Pnrr; previsto pene più severe per alcuni reati di incedi dolosi; previsto poteri sostitutivi affidati alle Re­gioni per la mancata redazione da parte dei Co­muni del catasto delle aree percorse dal fuoco. 

Ma la norma approvata non ha fornito tutte le risposte che si aspettava per con­trastare efficacemente gli incendi boschivi, so­prattutto alla luce degli effetti già fin troppo visibili dei cambiamenti climatici: 

  1. manca ancora una pianificazione integrata e di settore che rimane al palo, insieme all’ado­zione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici senza il quale fare pre­visioni è un terno al lotto; 

  2. non è stato affrontato il nodo della raziona­lizzazione della filiera di comando e il coordinamento tra le diverse istituzioni, nazionali e regionali, ancora divise tra il Dipartimento del­la Protezione Civile responsabile solo dei mezzi aerei e terrestri nell’ambito di supporto; i Vigili del Fuoco responsabili attivi nella lotta antincendio; i Carabinieri Forestali che devono mappare le aree percor­se dal fuoco e attuare le indagini connesse; le Regioni responsabili della gestione delle foreste oltre alla lotta attiva agli incendi ai poteri sostitutivi nei confronti dei Comuni ina­dempienti. 

Gli incendi boschivi partono dall’emergenza ma attraversano la pianificazione dei rischi e la gestione forestale, di cui sono responsabili diver­si soggetti e istituzioni. Servirebbero consolidate sinergie e invece continuiamo ad avere un siste­ma che: 

  •  concentra le risorse prevalentemente sulla lotta attiva agli incendi, esercitata ancora con i mezzi aerei forniti dai privati anziché puntare esclusivamente sulla flotta pubblica dei Vigili del Fuoco e su prevenzione di aeromobili a pilotaggio remoto; 

  • prende in considerazione il periodo di attività di antincendio boschivo dal 15 giugno al 30 settembre quando è evidente che gli incendi durano tutto l’anno, così come i cambiamenti dei contesti geografici (basta pensare al Car­so in questi giorni) dove il rischio di incendi è più forte nelle aree urbane, in quelle protette e costiere; 

  • un sistema che deve basare le sue previsio­ni, senza strumenti di monitoraggio efficaci e senza statistiche nazionali, soltanto con i dati sulle aree percorse dal fuoco forniti da EFFIS; 

  • istituzioni che forniscono con puntualità il nu­mero degli interventi dei Vigili del fuoco, ma non forniscono il numero esatto dei Comuni in cui non si rispettano le norme previste dalla legge 353/2000, non identificano e monito­rano i territori dove con continuità si ripetono incendi per mano criminale. 

Nel nostro Paese non si parla mai di boschi (che coprono ormai il 40% del territorio) e non si parla di incendi, se non quando i boschi sono diventati cenere. Dobbiamo invece raccontare di boschi e, dunque, di incendi anche quando le fiamme non ci sono. Prevenzione, infatti, vuol dire educazione per ogni fascia d’età, formazio­ne, coinvolgimento responsabile delle comunità per sbarrare il passo all’incuria che sempre più domina i nostri paesaggi e alla criminalità orga­nizzata, al teppismo, alla vendetta e alla devian­za sociale che si maschera da psicopatologia incendiaria. Lo strumento principale di preven­zione e di lotta agli incendi, insomma, è la crea­zione di un legame tra le popolazioni locali ed il bene bosco. 

Per creare questo legame non servono ul­teriori sistemi vincolistici. Al contrario, servono investimenti veri, ricerca, strumenti e tecnolo­gie, semplificazione di procedure e competenze all’interno di una strategia complessiva definita in condivisione con le popolazioni locali ed i portatori di interesse. Una necessita impellente anche perché, la tendenza che si prospetta nel 2022 e nei prossimi anni, è di una crescita del feno­meno degli incendi boschivi a causa della sicci­tà prolungata che si sta verificando nell’Europa meridionale e le condizioni risultanti che hanno già causato numerosi focolai di incendi prema­turi. Un altro segno evidente, insieme allo scio­glimento dei ghiacciai alpini, della crisi climatica già in atto. Come avviene ormai da molti anni, anche quest’anno il Presidente del Consiglio dei mini­stri, Mario Draghi ha emanato e inviato a tutte le Amministrazioni competenti la direttiva per le attività antincendio boschivo per la stagione estiva 2022 (pubblicata in G.U. il 3 giugno 2022) individuando, come prescrive la legge n. 152 del 26 luglio 2005, i tempi per il loro svolgimento, stabiliti dal 15 giugno al 15 settembre 2022. Una scelta, quella di identificare il periodo delle attività antincendio boschivo (in sigla AIB) tra giugno e settembre che stride con la realtà: dal 1 gennaio al 15 giugno 2022, come emerge dai dati raccol­ti dal sistema satellitare europeo EFFIS, in Italia erano già andati in fumo almeno 10.970 ettari di territorio di cui ben 6.161 ettari nelle regioni cen­tro meridionali, a seguito di oltre 400 incendi. Al 15 luglio altri 15.300 ettari erano già stati distrutti dal fuoco, quasi tutti nelle regioni del sud Italia, per un totale di 16.270 ettari. Si torna, così, a gri­dare all’emergenza, anche se nell’estate 2021, come già accennato, gli incendi avevano già de­vastato quasi 160.000 ettari di territorio, messo a rischio beni e cancellato vite umane. 

Dall’analisi degli ultimi vent’anni, risulta che in Italia il 40-50% del territorio colpito da incen­dio è costituito da foreste (fonte ISPRA), ma di questi la maggior parte degli incendi riguardano aree di interfaccia urbano-rurale che spesso si pro­pagano al bosco stesso. Ed è evidente come i cambiamenti climatici stiano acuendo criticità, frequenza, intensità e durata del fenomeno degli incendi che si sviluppano per tutto l’anno con gravissimo pregiudizio per eco­sistemi e biodiversità, attività umane e maggiori rischi di incolumità per i cittadini. 

 È unanimemente condiviso che gli incendi si prevengono e si fermano soprattutto grazie agli interventi e alle azioni da terra, per l’efficacia del­le quali è insostituibile il concreto investimento in prevenzione, pianificazione e programmazione. Non si salvano la natura e decine di migliaia di ettari aspettando che il fuoco si fermi grazie alle strade principali o con i lanci d’acqua dal cie­lo, ma solo conoscendo territorio, vegetazione e modalità per tagliare prontamente le vie di avanzamento all’incendio. 

Dopo la migrazione del Corpo Forestale, a cinque anni dal passaggio di consegne per lo spegni­mento e lotta attiva degli incendi, alla speciali­tà interna al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco che deve rispondere, con la medesima elevata compe­tenza di cui maestri nei contesti urbanizzati, a questa differente tipolo­gia di incendi, di contesti e di interventi con una conoscenza territoriale e boschiva di alto livello professionale e di studio. Infine, ma non per ordine d’importanza, è sempre più evidente come per colmare gap organizzativi, formativi e strutturali sia essenziale promuovere e attivare alleanze e cooperazione istituzionale nel tema di prevenzione, con incontri programmati con enti locali e associazioni di protezione ambientale; assicurarsi sempre il supporto dei Carabinieri Forestali e Vigili del Fuoco Boschivi nella lotta attiva e passiva AIB serve per inquadrare preventivamente aree soggette a futuri incendi, a discariche abusive, a problemi sociali di chi si accampa in aree verdi. Il controllo costante del territorio sotto la supervisione di enti dello Stato che assicureranno i vari movimenti preventivi da attuare prima dell’inizio dell’estate, anche se l’obiettivo finale è assicurarla per tutto l’anno.