Sabato, Hamas ha denunciato l'assenza di progressi nei negoziati per la seconda fase dell'accordo di cessate il fuoco a Gaza, la cui prima fase si conclude oggi dopo 42 giorni. Il portavoce Hazem Qassem ha attribuito a Israele la responsabilità del ritardo, accusando Tel Aviv di voler prolungare la tregua temporanea senza impegnarsi a porre fine definitivamente alla guerra o a ritirarsi dalla Striscia.
In dichiarazioni trasmesse dalla tv Al-Arabiya e riprese sul canale Telegram ufficiale del movimento, Qassem ha affermato che Israele intende "estendere la prima fase per recuperare i prigionieri, evitando impegni vincolanti sulla fine del conflitto". Secondo Hamas, l'obiettivo sarebbe quello di "riportare le trattative al punto zero", mantenendo la possibilità di riprendere le operazioni militari. Un altro leader del movimento, citato dall'Associated Press, ha rivelato che Tel Aviv ha proposto una proroga di 42 giorni durante il Ramadan (iniziato questa settimana), includendo ulteriori scambi di prigionieri. Una proposta respinta da Hamas perché "contraria ai termini originari dell'accordo".
Intanto, i negoziati al Cairo tra mediatori egiziani, qatarioti, rappresentanti israeliani e statunitensi si sono conclusi venerdì senza progressi. Basem Naim, membro dell'ufficio politico di Hamas, ha dichiarato all'AP di non avere "alcuna idea" su quando riprenderanno i colloqui. Fonti vicine alle trattative sottolineano il contrasto tra le parti: mentre Israele insiste sul recupero dei prigionieri, Hamas condiziona qualsiasi passo successivo alla fine dell'offensiva e al ritiro totale da Gaza.
La prima fase dell'accordo, avviata il 19 gennaio, ha portato al ritiro delle truppe israeliane dall'asse Netzarim e al ritorno di parte degli sfollati nel nord della Striscia. Inoltre, è stato attuato uno scambio di prigionieri con 33 israeliani (inclusi 8 corpi) rilasciati in cambio della liberazione di quasi 2.000 palestinesi. Hamas ha accusato Israele per aver ritardato la liberazione di una parte dei prigionieri palestinesi e di non aver rispettato gli impegni umanitari, tra cui consentire l'arrivo nella Striscia di centinaia di tende e container abitativi per gli sfollati.
Lo stallo rischia di aggravare la crisi umanitaria a Gaza, dove quasi 1,9 milioni di persone sono senza una casa. Mediatori internazionali temono che, senza un rinnovo della tregua, Israele possa lanciare una nuova offensiva a Rafah, ultimo rifugio per molti civili. Hamas invoca pressioni su Tel Aviv per "rispettare le tappe concordate", ma la distanza tra le parti rimane ampia. Con il Ramadan già iniziato, la finestra per evitare un'escalation si restringe, mentre la comunità internazionale osserva con apprensione.
Da notare, infine, il paradosso rappresentato dall'attuale amministrazione di Washington.
Infatti, mentre minaccia e umilia Zelensky perché accetti un cessate il fuoco alle condizioni imposte da Putin, tanto da minacciare di non inviargli armi per difendersi dall'aggressione russa, il criminale Donald Trump ha nuovamente riempito gli arsenali dello Stato canaglia di Israele, dicendo all'altro criminale che guida il governo di Tel Aviv, che lo supporterà in toto anche nel caso dovesse decidere di continuare il genocidio in corso a Gaza... mentre è in atto quello nei Territori Occupati.