La politica italiana conferma ogni giorno di essere una sagra del controsenso.
Non prova nessuna vergogna, infatti, nel contraddire se stessa con le parole, con i modi, con i comportamenti, e perfino con le idee, pur di assecondare lo squallido tornaconto di un momento.
Ad esempio, per ogni condanna in primo grado di un imputato abbiamo sempre assistito al moltiplicarsi di inviti alla prudenza da parte di tutti che ci ricordavano che quel verdetto non aveva valore definitivo.
Era lo stesso guardasigilli Carlo Nordio a ripetere fino allo sfinimento che una sentenza deve considerarsi definitiva solo superati i tre gradi di giudizio.
Da ore, invece, nel Paese si è dato inizio ad una tradizionale sagra del controsenso con festeggiamenti e libagioni cui partecipano politici, giornalisti, commentatori, media, per celebrare l’assoluzione, da parte del Tribunale di Palermo, di Matteo Salvini come se fosse definitiva.
Questa volta lo stesso ministro Nordio ha dimenticato di consigliare prudenza, anzi…
Si è creata così una situazione surreale.
Salvini, fuori di testa, non ha capito che la sua assoluzione non è definitiva e pretenderebbe insediarsi subito al Viminale scalzando Piantedosi.
Le sue avventate parole non lasciano dubbi; “…se qualcuno in passato poteva dire Salvini non può andare agli Interni perché c’è un processo in corso sulla sua condotta da ministro, adesso questo alibi non c’è più!”.
Al tempo stesso la premier Meloni fa la gnorri e finge di non sentire perché teme che un rimpasto di governo possa destabilizzare lo status quo della maggioranza.
Forza Italia bramerebbe che gli alleati la seguissero nel ricordare Berlusconi con una radicale riforma della giustizia.
In questo bailamme occorrono pazienza e tolleranza.
D’altra parte, solo quando entro 90 giorni il tribunale di Palermo renderà note le motivazioni del dispositivo la Procura e la ONG spagnola avranno modo di valutare un eventuale appello che darebbe il via al secondo grado di giudizio.
L’appello rimetterebbe in discussione tutto ciò che in queste ore appare per molti una certezza.
Solo dalla lettura delle motivazioni, ad esempio, sarà possibile comprendere perché la seconda sezione penale del Tribunale di Palermo, presieduta da Roberto Murgia, abbia adottata come formula assolutoria “perché il fatto non sussiste” e non quella “perché l’imputato non ha commesso il fatto”.
Anche da questa scelta, di certo ragionata del Tribunale, la Procura di Palermo e la ONG spagnola potranno trarre le loro valutazioni per l’eventuale impugnazione della sentenza.