Serial killer italiani - II
Il mostro di Bargagli. Denominazione di invenzione giornalistica comunemente usata per indicare l'autore o gli autori di una serie ...di omicidi avvenuti... a Bargagli, un paese sulle colline genovesi della val Bisagno, in Liguria...Peraltro, in questo caso, mai risolto ma forse non così misterioso, dietro le morti si celerebbero episodi avvenuti durante la seconda guerra mondiale inerenti al fascismo e ai partigiani. Poiché il periodo in cui sono stati commessi gli omicidi è stato lungo e le conclusioni poche si è sospettato di più mostri, come un'"associazione oscura per delinquere" organizzata... Il 20 marzo del 1985 in una baracca poco fuori dal paese, viene trovato impiccato al soffitto Francesco «o bregadé» Pistone. Pare che non ci fossero dubbi sul suicidio, ma chi poteva dirlo? Fu, comunque, l'ultima morte violenta di quella misteriosa saga di orrore e crudeltà all'ombra della Resistenza. L'unica certezza in tutta questa storia resta la sparizione di un tesoro che in mezzo secolo ha lasciato una scia di sangue lunga 23 omicidi. E ancora oggi, nonostante quell'incredibile prezzo in vite umane, c'è chi è disposto a tutto pur di preservare quel terribile segreto". Ilgiornale.it 3/5/2007 /// Secondo una delle ipotesi più accreditate, dietro agli omicidi ci sarebbe la storia della cosiddetta "Banda dei Vitelli" che - durante la guerra, ai tempi dei razionamenti e della borsa nera - macellava gli animali per poi vendere clandestinamente le parti più pregiate. L'appuntato Carmine Scotti scoprì il giro e cercò di fermarlo facendo condannare alcuni membri della banda, finché un giorno, per rappresaglia, venne torturato e ucciso: lui fu la prima vittima." Genova Today Valentina Bocchino 30 luglio 2018"-
Giancarlo Giudice, torinese, nato nel 1952. Va presto in collegio perché i genitori non riescono a tenerlo e lui si fa una colpa della prematura morte della madre. Odierà la matrigna, cui addebita il germogliare delle proprie patologie mentali. Tra il 1983 e il 1986 uccide nove prostitute, tanto, sostiene, erano vecchie e brutte. Pornografo estremo e tossicodipendente, rivendica di aver risparmiato una prostituta perché madre (non sarà l'unico a dirlo, della categoria), ma in realtà probabilmente era solo più giovane e carina rispetto alle altre. Uccide anche con una pistola fabbricata in casa, strangola, si disfa dei corpi, a volte gli piace uccidere mentre copula. E' uscito nel 2008 e vive sotto falsa identità, come molti altri (attenzione, quello seduto vicino a voi in un ristorante potrebbe essere uno spietato assassino...)
Gianfranco Stevanin, classe 1960. Di Terrazzo (Verona). Soprannominato "Elvis" per i basettoni giovanili, definito sempre agricoltore, ma, stando alle biografie, con molto tempo libero e privo dell' allure contadino, anzi, uso a bighellonare col suo Mercedes in cerca di prede, appare uomo accorto. Bel ragazzo ai suoi tempi, con trascorsi non limpidi, ma fino a una certa data ancora inquadrabili in bravate giovanili, pare non avesse gradito l'inserimento in collegio, in un momento di difficoltà familiare. Aveva avuto un incidente di moto da ragazzo, spesso citato, ma anche un altro, sempre abbastanza serio, battendo la testa da piccolo. Per questo o per natura, si era fatto notare per atti di cosiddetta microcriminalità, furtarelli, violenza carnale su una prostituta. "Elvis" mal sopportava la rigida educazione familiare e probabilmente covò rancore verso i genitori, quando lo obbligarono a lasciare una fidanzata che amava, ma era ammalata ( o sapevano che era malato lui...). Le sue vicende, fino ai venticinque anni circa, sono riferibili a una sessualità dettata da pressanti pulsioni giovanili, deviata quanto può esserla quella di tanti uomini che nascondono la loro parte oscura. Alla fine gli hanno attribuito sei omicidi, ma chissà qual è il vero conteggio finale. In ogni modo, non mostrava un carattere violento, e, all'occasione, frequentava anche donne al di fuori del sesso mercenario. Quando però questo, la pornografia estrema o altro ancora gli divorarono il cervello, iniziarono i problemi ed egli, probabilmente, non riuscì più a fermarsi. Amava uccidere la donna durante l'amplesso, coprendole la testa con una sacchetto, e forse anche l'atto su cadaveri. Era fanatico delle fotografie, gliene ritrovarono a iosa, con donne nude, tra le quali una morta, rimasta sconosciuta ( che gli fu messa nel conto della condanna). Guai se qualcuno si fosse permesso di entrare in camera sua, nella casa familiare. I misfatti si svolgevano, invece, nel famoso casolare di famiglia, frequentato solo da lui.
Per il suo caso è infuriata la polemica sulla natura dell'infermità mentale e il suo utilizzo giudiziario. Stevanin , questo è un fatto, si guardava bene dal far sparire donne con forti legami familiari; era ben attento a scegliere le vittime tra quelle più esposte e sole, e soltanto una sua disattenzione, o leggerezza, portò a scoprirlo.
Era il 1994. Aveva rimorchiato una prostituta austriaca, Gabriele Musger, con la scusa delle solite foto in cambio di una forte somma, ma, una volta in loco, con i suoi giochi pericolosi l'aveva spaventata a tal punto che, con uno stratagemma, lei lo convinse a uscire offrendogli del denaro, che stranamente egli accettò di andare a prelevare a casa della Musger.(Una bizzarria: l'impressione diffusa era che a Stevanin i soldi non mancassero, ben foraggiato da mamma, Noemi Miola: aveva forse debiti mai citati?).Per strada Gabriele attirò l'attenzione di una volante e così l'attività criminale di Stevanin terminò. In seguito si dice abbia risarcito le famiglie delle vittime riconosciute. Affinità col mostro di Firenze: i feticci, che però si sono trovati. Al magistrato dichiarò che aveva in programma di imbottire un cuscino con i peli pubici femminili che aveva ammonticchiato.
Gianfranco Stevanin, ora all'ergastolo, agiva da solo nel momento del crimine, ma si sospetta che Noemi sapesse; secondo la madre di una vittima, lo avrebbe aiutato a nascondere i cadaveri. Se così fosse, verrebbe confermato che il serial agisce a perfezione se ha una buona copertura. Stevanin infatti fu acciuffato per un tranello in cui cadde da sé, in un momento in cui la madre non poteva proteggerlo, forse occupata ad accudire il marito, che in quell'anno morì. L'altro dettaglio che colpisce: in base alle dichiarazioni raccolte, egli si assentava anche per giorni e nessuno, men che meno mammà, gli chiedeva conto di cosa andasse a fare e dove. Ora appare redento, anche per un generoso gesto in carcere, quando riuscì a salvare un aspirante suicida.