Ci preme fare l'analisi di questo articolo, che trovate qui, per farvi capire come spesso la verità è celata da interessi. A volte, purtroppo, anche di chi fa informazione a sua volta in testate locali e nazionali.
Questo è un esempio di manipolazione che servirà in futuro per individuare lo scrivente, questo firmatosi con il nome di "magazine"

INIZIAMO

Ecco la giusta ma “falsa” premessa. Questa è necessaria per trarre in inganno il lettore durante il resto dell’articolo

Le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi spettano solo agli inquirenti italiani che hanno le risorse, i mezzi e gli uomini per farlo. Spetta a nessun altro, tantomeno a quei personaggi che, pur di occupare la scena mediatica, si esibiscono in una serie di dichiarazioni che si sono rivelate tutte delle clamorose bufale e contro-bufale. 

Ecco come già nel primo paragrafo partono le “balle spaziali”. Non è assolutamente vero che gli inquirenti sono d’accordo che si tratta di semplice sparizione, anzi: vedasi le dichiarazioni degli ex PM Capaldo e Martella in commissione parlamentare d’inchiesta. Si comincia a costruire l’alibi per la tesi successiva.

L'unica cosa certa e che ha messo d'accordo inquirenti e investigatori di ogni latitudine e longitudine è che Emanuela Orlandi, la sera del 22 giugno 1983, non fu rapita né dai terroristi turchi, né dai servizi segreti bulgari, né dai criminali romani, né dai reclutatori di minorenni da destinare agli harem di prelati praticoni o ai film e filmetti porno, né dai lupi mannari, né da Topo Gigio, né dai marziani, ma scomparve, come purtroppo spariscono centinaia di adolescenti ogni anno in Italia senza che finiscono sulle prime pagine dei giornali solo perché non abitano in Vaticano, ma abitano a Sondrio, a Bergamo, a Vicenza o nelle periferie di Milano e Torino

Un altro paragrafo di “ammaliamento” falso a metà: è vero che I rapitori non fornirono mai la prova in vita e la prova in morte di Emanuela ma fecero ascoltare la voce della ragazza in due occasioni ben distinte, ovvero nelle chiamate dell’americano a casa Orlandi e in una cassetta detta “delle sevizie”

Chiunque non sia stato suggestionato da anni e anni di racconti basati su un fantomatico rapimento che sicuramente fa vendere di più e meglio di un delitto sessuale da parte di un maniaco isolato, si sarà reso conto che il caso Orlandi è stato l'unico caso della storia del genere umano in cui i presunti rapitori non fornirono mai una prova che la ragazza fosse viva e si trovasse nelle loro mani, cosa che è alla base di qualsiasi ricatto politico o economico che sia. Fornirono solo generici indizi, come fotocopie di documenti, indizi che chiunque, pure un bambino in vena di scherzi, poteva prelevare dal Conservatorio frequentato da Emanuela. 

Margherita Gerunda, riferì al giornalista Pino Nicotri nel 2013: "Mi feci subito l’idea, come del resto tutti gli investigatori, che la ragazza fosse stata attirata in un agguato, violentata e uccisa o comunque morta in seguito alle sevizie….

Ancora balle spaziali. Si vuole far passare l’idea che un PM, in una sua personalissima analisi, stia supportando con fatti (che non esistono) una tesi per la quale non si è mai proceduto. A chi lo riferisce il PM Gerunda: a PINO NICOTRI che, “casualmente” ha scritto un libro in questa direzione….

Chiunque sia il colpevole, noi personalmente crediamo che Emanuela Orlandi abbia subito lo stesso destino di Stefania Brini, la studentessa di 17 anni morta nel 1984

Ma noi crediamo chi? Si riferisce al giornalista Nicotri? Alla PM Gerunda?

Quando si vuole manipolare l'informazione per scopi puramente personali e peggio ancora per vendere libri bisogna sempre considerare che dietro questo fatto c'è un dramma e che la verità vale più di 10 milioni di copie vendute.
Chissà se qualcuno che legge può capire il significato di come spesso vengono usate delle povere vittime al solo fine di alcuni millantatori che per sostenere le loro tesi creano agglomerati di persone, gruppi Facebook assolutamente protetti, articoli farlocchi come questo che abbiamo commentato, solo per il gusto di avere un nome collocato da qualche parte sul web, pur sapendo loro che non valgono nulla.