(vai alla quarta parte)

Il sabato ne parlò con Silvio, il quale dolcemente la rassicurò e si assunse l'impegno di aiutare Armando nel ripasso di tutti i giorni, prima di iniziare i giochi insieme a Giuseppe. Monica si tranquillizzò, pensando che, con l'aiuto di Silvio, il figlio sicuramente avrebbe superato ogni difficoltà.

A fine maggio, arrivò un'altra convocazione della maestra di Armando, che si mostrava sempre più insofferente e nervoso anche in casa.

Il giorno dell'appuntamento, accompagnò i bambini a scuola e fu immediatamente ricevuta dall'insegnante che l'aggredì, soffiandole in faccia un'ira mal repressa: - "Armando peggiora di giorno in giorno e devo constatare con molta amarezza  che le mie parole sono state consegnate al vento" - le disse. Dopo qualche minuto, nonostante lei farfugliasse scuse, la congedò con aria di disprezzo.

Monica non capiva.

La sera cercò di parlarne con Armando, ma la reazione del bambino la lasciò senza parole. Rosso in volto, con gli occhi fuori dalle orbite, le scaricò addosso una serie di parolacce gridando infine - "A te non ti frega niente di me, tu sei solo preoccupata di fare brutta figura con la maestra. Solo Silvio mi vuole veramente bene!" - sbattendo la porta della cucina e chiudendosi a chiave in cameretta.

La mattina dopo, la bufera sembrava passata: lasciò i bambini al piano di sotto e andò a lavorare. La scenata della sera precedente, però, non le lasciava spazio mentale per gli impegni di lavoro e, intorno alle sedici e trenta, chiese un altro permesso a causa di una feroce emicrania.

Mancava qualche minuto alle diciassette quando aprì la porta di casa e, dal silenzio, capì che la madre era scesa giù portando con sé Giuseppe, per lasciar studiare in santa pace Armando con Silvio.

Si liberò della borsa e del giacchino, calzò le pantofole e andò verso la cameretta.

Aprì la porta e i suoi occhi si incagliarono su una scena che le squarciò la coscienza: accanto alla scrivania, seduto sulla sedia rossa, con la schiena arcuata, le gambe tese in uno spasimo, il petto nudo e il pantalone abbassato fino al pavimento, Silvio teneva per le anche Armando a cavalcioni su di sé. Il bambino allungava le sue bianche braccine verso le spalle più scure dell'uomo dove spiccavano le paffute manine, che tiravano e spingevano avanti e indietro con ritmica velocità il corpicino  coperto dalla sola maglietta bianca di cotone a mezze maniche.

Un urlo da bestia ferita violò il silenzio della casa, seguito dal tonfo del corpo di Monica che crollò sul pavimento, priva di sensi.