Stasera ore 21.30, su Rai 1 andrà in onda il film “Fernanda”, dedicato alla figura di Fernanda Wittgens, donna coraggio ai tempi del fascismo e prima direttrice della Pinacoteca di Brera.

Abbiamo chiesto a Saro Grimani, artista, molto attento ai temi sociali, come la guerra, il razzismo e l’olocausto, di parlarci di questa importante figura storica:

Fernanda Wittgens , ci dice Saro Grimani, fu una coraggiosa antifascista. Non solo salvò i capolavori della Pinacoteca di Brera, ma finì in carcere perché aiutò ebrei e oppositori del regime a rifugiarsi in Svizzera. Ecco la sua vera storia :
MONUMENTS MEN. Nell'Italia devastata della Seconda guerra mondiale, un piccolo esercito di Monuments Men senza divisa riuscì a mettere in salvo migliaia di capolavori. Erano direttori di musei, ispettori, giovani funzionari delle Belle Arti che si trovarono a fronteggiare una situazione di grande emergenza in un Paese, come disse il generale Clark, comandante delle Forze alleate in Italia, in cui era come combattere in "un maledetto museo".

 
In questo contesto si distinse per coraggio e determinazione Fernanda Wittgens, una storica dell'arte che a Milano, con un piccolo ma formidabile team, si diede una missione: salvare il meglio del patrimonio artistico del capoluogo lombardo.
LA FORMAZIONE. Nata sotto la Madonnina nel 1903, Fernanda si appassionò fin da piccola all'arte, spinta dal padre Adolfo, un professore di lettere del Liceo Parini che la domenica amava accompagnare i figli nei musei della città.

A 22 anni Fernanda era già laureata, a 25 attirò l'attenzione di Ettore Modigliani (1873- 1947), direttore della Pinacoteca di Brera e sovrintendente alle Gallerie, ai Musei medievali e moderni, agli Oggetti d'arte e ai Monumenti della Lombardia. Modigliani volle accanto a sé la brillante studiosa, attivissima e instancabile, inaugurando così un lungo sodalizio che non si interruppe neppure quando, nel 1938, Modigliani, ebreo, fu espulso dall'amministrazione statale per le leggi razziali. Fernanda prese il suo posto: nel 1940 diventò direttrice della Pinacoteca di Brera, prima donna in Italia a ricoprire l'incarico.

UN CARATTERE COMBATTIVO. La sua fu veramente una vita per Brera, come recita il sottotitolo del libro Sono Fernanda Wittgens di Giovanna Ginex (Skira), nel quale emerge la grande personalità di questa donna emancipata, come si definiva lei stessa, che si trovò a svolgere compiti da uomo in un periodo in cui quasi nessuna donna osava farlo.

Fernanda Wittgens era una donna dal temperamento forte e determinato, ma anche una femminista ante litteram che scelse di non sposarsi. Fernanda "Possedeva una chiarezza e una lucidità di giudizio eccezionali, una grande comprensione e una grande bontà", disse di lei Giorgio Castelfranco, anche lui un Monuments Man in terra di Toscana.

LE CRITICHE. A Milano era amata e stimata negli ambienti più colti e fattivi, perché sapevano che le sue decisioni erano giuste e che sarebbe andata sempre fino in fondo.

Nel mondo dell'arte, invece, c'era chi la criticava per il carattere militaresco e gli scatti d'ira proverbiali.

Così scriveva in una lettera del 1955 all'amica Clara Valenti: "Non escludo l'impetuosità nella discussione e l'eccesso nella lealtà. Ho una lettera-testamento di Modigliani che mi scongiurava di tener conto degli esseri mediocri e incapaci di generosità, degli esseri che vivono di risentimento. Io non so cosa siano le posizioni negative, e la mia vitalità è qualche volta, per se stessa, un'offesa per chi ama vivere pigramente, o peggio per chi non sa altra affermazione all'infuori del compromesso".
LA GUERRA. L'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940. La priorità era mettere in sicurezza il patrimonio artistico milanese e lombardo, e la piccola task force di Brera non si fece trovare impreparata: i capolavori vennero imballati, nascosti nei sotterranei della banca Cariplo e in altre località ritenute sicure.

Ma dopo il bombardamento della notte tra il 14 e il 15 febbraio 1943 fu necessario fare nuovi trasferimenti. Tra grandi difficoltà, Wittgens accompagnò le opere sui camion, rimanendo sempre a fianco dei guidatori. Quadri come lo Sposalizio della Vergine di Raffaello e altri capolavori della Pinacoteca vennero trasferiti in alcune ville della provincia di Perugia e di Orvieto.
CAPOLAVORI AL SICURO. «Dopo qualche settimana», scrive Giovanna Ginex, «è ancora Wittgens a riprendere in carico le preziose casse per ricoverarle in un ultimo rifugio considerato più sicuro: il palazzo dei principi di Carpegna, una vera e propria fortezza del XVII secolo nel capoluogo del Montefeltro». Lì Pasquale Rotondi, sovrintendente delle Marche e instancabile salvatore di tesori, coordinava l'afflusso delle opere d'arte provenienti dalle varie regioni.

Ma l'emergenza non era ancora finita: tra il 7 e l'8 agosto 1943, bombe britanniche colpirono molti obiettivi "eccellenti" di Milano, distruggendo anche ventisei sale di Brera. Dopo l'armistizio, nella totale assenza di un potere centrale, toccò ancora alla Wittgens il compito di salvare dalle razzie tedesche le opere dei musei milanesi.
TRADITA. All'alba del 14 luglio 1944, Fernanda fu arrestata, consegnata alle celle di San Vittore dalla soffiata di un giovane ebreo tedesco collaborazionista, a cui aveva procurato una carta d'identità falsa per fuggire in Svizzera.

Wittgens, antifascista fin dagli inizi, non si limitava infatti a salvare le opere d'arte: affiancata da amiche fidate e dal cugino collezionista d'arte Gianni Mattioli, mise in salvo perseguitati politici ed ebrei, procurando loro rifugio e assistenza.

A questo scopo, strinse contatti con la rete di solidarietà femminile della San Vincenzo e la Pro Orfani che, sotto la facciata ufficiale della beneficenza, operavano con gruppi clandestini di oltreconfine.
IN PRIGIONE. Dal carcere, Fernanda scrisse a sua madre e alle sue sorelle, a cui era legatissima: "Quando crolla una civiltà e l'uomo diventa belva, chi ha il compito di difendere gli ideali della civiltà, di continuare ad affermare che gli uomini sono fratelli, anche se per questo dovrà… pagare? Sarebbe troppo bello essere intellettuali in tempi pacifici, e diventare codardi, o anche semplicemente neutri, quando c'è un pericolo".

La storica dell'arte rimase a San Vittore fino al febbraio 1945, poi fu trasferita in una clinica milanese fino alla Liberazione.