"La guerra continuerà per molti mesi finché Hamas non verrà eliminato e gli ostaggi rilasciati. Garantiremo che Gaza non possa più rappresentare una minaccia per Israele".

Queste le dichiarazioni del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, nella conferenza stampa di ieri dove ha poi aggiunto che per portare a termine tali risultati è necessario anche che Israele prenda il controllo del Corridoio Filadelfi (Philadelphi Route o Corridor), in pratica la linea di confine lunga circa 14 Km che divide la Striscia di Gaza dall'Egitto, che ne detiene il controllo dal settembre 2005, a seguito del Piano di disimpegno unilaterale israeliano.

Ancora nessuna reazione dal Cairo sull'intento di Netanyahu che contribuisce a gettare ulteriori ombre sulle finalità del conflitto, generando ulteriore confusione sia all'interno dello stesso governo che nella società israeliana. Da Ramallah, però, fanno già sapere di non gradire.

Hussein Al-Sheikh, segretario generale del comitato esecutivo dell'OLP, ha detto che la dichiarazione del primo ministro israeliano Netanyahu sull'intenzione di Israele di riprendere il controllo del Corridoio Filadelfi e del confine di Rafah è l'ulteriore conferma del piano di Israele di rioccupare la Striscia di Gaza, decisione in palese violazione degli accordi con l'Egitto che segnerebbe la fine di tutti gli accordi con l'OLP.

E mentre Israele continua ad intensificare la violenza dei suoi attacchi sulla popolazione civile, concentrandoli adesso verso il centro e il sud della Striscia senza apparentemente intaccare la resistenza palestinese, visto che i militari dell'IDF continuano ad essere colpiti e uccisi, i mediatori proseguono la loro difficilissima opera nel tentativo di sospendere e/o porre fine alla guerra.

Al momento, sembra che vi siano due differenti trattative in corso. A tenere le fila di una è il Qatar che ha come interlocutore principale Israele, ed in particolare l'attuale direttore del Mossad. Secondo David (Dadi) Barnea la resistenza palestinese avrebbe accettato una trattativa su un cessate il fuoco temporaneo per un periodo da definire, così come la contropartita, in cambio del rilascio di 40 o 50 prigionieri detenuti a Gaza.

Ma tale ipotesi appare però una mossa propagandistica da parte dello Stato ebraico per tenere a freno l'opinione pubblica interna, che preme per la liberazione dei prigionieri ancora in mano ai vari movimenti della resistenza palestinese.

A smentire quanto affermano fonti israeliane, oltre ad Hamas, oggi è arrivata anche la dichiarazione di Ziyad Al-Nakhalah, segretario generale della Jihad islamica palestinese:

"Non ci saranno accordi tra noi e l’occupazione per lo scambio di prigionieri o altro, a meno che l'aggressione israeliana contro Gaza non venga fermata. Non ci saranno accordi di scambio di prigionieri senza il completo ritiro delle forze di occupazione dalla Striscia di Gaza", aggiungendo che "non ha valore alcun ulteriore dialogo se queste condizioni non verranno soddisfatte".

L'altra trattativa viene portata avanti dall'Egitto, una cui delegazione, giovedì scorso, si è recata in Israele. Gli egiziani, cercano di portare avanti, come più volte hanno fatto in passato, non tanto una sospensione, quanto una cessazione definitiva delle ostilità. In base a tale obiettivo, la delegazione egiziana ha cercato di ottenere risposte da Israele sulla sua disponibilità a ritirarsi dai territori nel casodi un accordo globale, ma non ha però ricevuto risposta alcuna.

L'Egitto ha comunque invitato le fazioni palestinesi ad un nuovo ciclo di incontri al Cairo, dopo il 7 gennaio, con lo scopo di raggiungere almeno un accordo per unificare l'amministrazione nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, in modo da formare un unico governo che prenda il controllo di tutti i territori palestinesi.

Invece, per quanto riguarda qualsiasi trattativa con Israele, per le fazioni presenti a Gaza, questa non potrà avvenire se non a seguito di un definitivo stop all'invasione in corso.