In questi tragici giorni, in cui l'Afghanistan e i talebani tornano, ancora una volta, sulla ribalta internazionale, con tutte le incognite di una nuova guerra, in termini geopolitici e umanitari, vorrei ricordare il sesto anniversario della morte, o meglio dell'uccisione, di Ruqia Hassan Mohammed

Questa bellissima ragazza di trent'anni, venne rapita e uccisa in Siria da DAESH (Stato islamico dell'Iraq e del Levante), conosciuto anche con l'acronimo inglese di ISIS (Islamic State of Iraq and Syria), nel settembre del 2016. Vi starete chiedendo cosa c'entri una donna attivista, giornalista freelance e blogger uccisa a Raqqa, durante la guerra in Siria nel 2016, con i fatti che stiamo vedendo a Kabul?

C'entra, perché  Ruqia, rappresenta simbolicamente tutta una generazione di donne afgane e siriane emancipate, cresciute nelle città del Medioriente negli ultimi 20 anni e risvegliatesi, in meno di una frazione della storia, nell'incubo integralista  di Daesh in Siria e dei talebani in Afghanistan .  

Una di queste donne afgane, è Nasrin Nawa, costretta a fuggire da Kabul il 13 agosto di quest'anno, poco prima della presa di Kabul da parte dei talebani. Ha potuto rifugiarsi in Nebraska, grazie ad una borsa di studio in giornalismo, lasciando la sorella e la famiglia a Kabul.

Nasrin Nawa (a sinistra), in un'iimmagine tratta da un documentario di ARTE', mentre va in bicicletta per kabul con un gruppo di amiche, poco tempo prima della presa di Kabul da parte dei talebani. Un'attività, quella ciclistica, impensabile per una donna nella nuova Kabul dell'era talebana. 

Anche Ruqia aveva studiato, era colta ed emancipata e, come Nasrin, ha visto i suoi sogni infrangersi per l'emergere violento e prepotente dell'integralismo islamico sunnita, presentatosi in Siria e in Iraq, sotto la bandiera dell'ISIS.

Due guerre, quella afgana e siriana, solo apparentemente distanti geograficamente e temporalmente, ma entrambe figlie di un contesto culturale e geopolitico nel quale ogni tentativo di portare stabilità, diritti civili e progresso, è sembrato vano. 

Fotografia di Ruqia Hassan,  fonte The Guardian

Certo, i talebani e l'ISIS, possono sembrare differenti e persino distanti, ideologicamente e geograficamente. In realtà, l'attentato all’aeroporto di Kabul (rivendicato appunto dall'ISIS), ha riportato, in tutta la sua deflagrazione, il ruolo che anche la costola afgana dell'ISIS (ISIS-Khorasan) ha e avrà nei futuri assetti geopolitici dell'Afghanistan e dell'intera regione.  

Se l'occidente, anziché miope, fosse stato anche solo vagamente strabico, si sarebbe accorto che DAESH (che nel suo immaginario epico trionfalistico sembrava definitivamente sconfitto in Siria e in Iraq), non ha mai cessato di esistere, attraverso le sue numerose cellule dormienti, disseminate tra Sahel e Medio Oriente, passando per il corno d'africa e, più a sud, addirittura in Mozambico.

Eccolo di nuovo DAESH, il nemico terrifico tanto temuto da Ruqia, negli anni sepolcrali della sua Raqqa e dell'intera Siria.  La Siria, dimenticata dall'occidente, subito dopo un'illusoria vittoria sull'ISIS, operata, tra l'altro, con il sacrificio quasi esclusivo dei curdi Peshmerga, anch'essi già dimenticati. Forse è il destino che spetta, per l'ennesima volta, anche all'Afghanistan, quando sarà finito il clamore del ritiro e delle immagini shock.

Non entrerò nella conta delle differenze ideologiche tra i due gruppi (Isis e talebani), non essendo esperto di Medioriente e Islam. La differenza che mi pare evidente, è l'aspirazione panislamista dei califfati targati ISIS, scevra da qualsiasi principio di frontiera geopolitica (ovunque c'è un mussulmano nel mondo, c'è l'Islam), rispetto a quella dei talebani, fortemente ancorati al loro vincolo  etnico-geografico (Pashtun), tra Pakistan e Afghanistan. Questo spiega, forse, l'avversione dei talebani per l'ISIS, ritenuto da loro un movimento di importazione, estraneo al loro contesto geografico e al loro presunto radicamento etnico tribale plurisecolare. Questo aspetto di rapida mobilità geografica dell'ISIS (si accontenta  del puro e semplice proseltismo fondamentalista  e reclutamento militare senza necessitare di un vero e proprio radicamento territoriale) lo rende un'entità liquida inafferrabile, molto più pericolosa per la pace e la stabilità mondiale, di quanto non lo siano i talebani (senza per questo minimizzare la loro reale minaccia). 

Di certo, si possono invece individuare i punti che i due gruppi hanno in comune:

Entrambi si fondano sull'interpretazione fondamentalista sunnita del Corano e basano tutta l'organizzazione giuridica, sociale ed economica sulla Sharia, che si interseca con le usanze e consuetudini locali. E sono questi gli elementi che le due donne, Ruqia e Nasrin, così come le migliaia di donne (e uomini), concentrate soprattutto nelle città, non sono state disposte ad accettare.

Perché ricordiamoci che queste donne, sono prima di tutto vittime di una società violenta dominata dagli uomini, in cui il patriarcato intransigente e il fanatismo religioso si sono uniti in un sodalizio "perfetto".  E se nelle città sembrava essere risorta una classe intellettuale dinamica, protesa verso il futuro, la rigida formula del patriarcato tribale religioso è sempre sopravvissuta nelle campagne, ferme all'epoca pre industriale  in quanto a emancipazione sociale, istruzione  e sviluppo tecnico.

Lì, le donne, scompaiono ogni giorno dietro il velo dell'omertà e della rassegnata sottomissione. Un lungo silenzio, molto lontano dalla consapevolezza delle città e dall'eco mediatico internazionale.

Non bisogna però peccare di semplificazione, quando si commenta il complesso universo musulmano. Occorre ricordare che, nel caso di DAESH, molte donne decisero di seguire spontaneamente i loro uomini e lo fecero persino partendo dai paesi occidentali, dove risiedevano da anni, quando non vi erano nate. Nei paesi tradizionalmente musulmani, invece, è in atto, da anni, un vero e proprio scontro di civiltà interno al mondo islamico: su un piano geopolitico, tra sciiti e sunniti e all'interno delle società, tra musulmani moderati (la stragrande maggioranza), fondamentalisti e laici (questi ultimi, costituivano le elite politiche ed economiche prima dell'ascesa dei regimi teocratici). La storia è complicata e nessuno sa cosa può riservare il futuro.

Ruqia, dal canto suo, ha pagato il prezzo più alto, la vita. Non voleva lasciare Raqqa, per testimoniare, dall'interno, il terrore e l'orrore perpetrato da DAESH sui suoi connazionali. Nasrin, invece, dopo la sua fuga, testimonia dall'estero, il pericolo ormai concreto, rappresentato dal nuovo emirato talebano, suscettibile di riportare all'anno zero tutte le conquiste (flebili ma tangibili) fatte dalle nuove generazioni in questi ultimi vent'anni. La sua, è solo  apparentemente, rispetto a Ruqia, una posizione di comodo. In realtà, non solo Nasrin è costantemente minacciata di morte, anche se viva e rifugiata all'estero, ma lo sono anche i suoi familiari ancora bloccati a Kabul, assieme a molti altri accusati dai talebani di essere l'incarnazione della deriva dei costumi (ai loro occhi naturalmente), di collaborazionismo con il caduto governo afgano (ritenuto da sempre dai talebani un governo fantoccio e corrotto) e con l'occidente. Cambiano le bandiere, ma l'ideologia è sempre la stessa.

Di seguito, le parole di Ruqia Hassan, su DAESH:

Quando quelli di Isis mi arresteranno e uccideranno, mi andrà bene perché sarà meglio così piuttosto che vivere umiliata da loro.

La ragazza era per molti il simbolo delle donne che non si sottomettono a Isis (e ad ogni forma di fondamentalismo religioso), riportava ogni cambiamento imposto dai nuovi tiranni, anche con ironia:

Ci avete tolto i punti wi-fi nella città? Nessun problema, i nostri piccioni viaggiatori non si lamenteranno, 

Queste righe, la cui ironia dimostra anche la forza e l'intelligenza di questa donna, sono parte di uno  degli ultimi post che Ruqia ha scritto su Facebook, nel luglio 2015, prima di interrompere bruscamente la comunicazione a cui seguirà il rapimento, l'arresto e l’esecuzione.

Dedicato a tutte le donne che in ogni dove, si battono per la libertà, la tolleranza e il progresso.