La compassione, la tenerezza che Gesù ha mostrato nei confronti delle folle non è sentimentalismo, ma la manifestazione concreta dell'amore che si fa carico delle necessità delle persone. E noi siamo chiamati ad accostarci alla mensa eucaristica con questi stessi atteggiamenti di Gesù: [anzitutto] compassione dei bisogni altrui. Questa parola che si ripete nel Vangelo quando Gesù vede un problema, una malattia o questa gente senza cibo. “Ne ebbe compassione”. Compassione non è un sentimento puramente materiale; la vera compassione è patire con, prendere su di noi i dolori altrui. Forse ci farà bene oggi domandarci: io ho compassione? Quando leggo le notizie delle guerre, della fame, delle pandemie, tante cose, ho compassione di quella gente? Io ho compassione della gente che è vicina a me? Sono capace di patire con loro, o guardo da un'altra parte o dico “che si arrangino”? Non dimenticare questa parola “compassione”, che è fiducia nell'amore provvidente del Padre e significa coraggiosa condivisione.

Con queste parole, dette prima di recitare l'Angelus, papa Francesco ha concluso il commento al passo del Vangelo dedicato da Matteo alla moltiplicazione dei pani e dei pesci (14,13-21).

E, dopo la preghiera, richiamandosi a quelle parole, il Papa ha invocato 

l'impegno convergente di tutti i responsabili politici ed economici, [affinché] si rilanci il lavoro: senza lavoro le famiglie e la società non possono andare avanti. Preghiamo per questo che è e sarà un problema della post-pandemia: la povertà, la mancanza di lavoro. E ci vuole tanta solidarietà e tanta creatività per risolvere questo problema.