(Premessa: quando scrivo la storia si è già conclusa…)

POSITIVO: questa l’impietosa sentenza pronunciata dal simpatico farmacista; in realtà questa sarebbe la sentenza d’appello, in quanto meno di ventiquattrore prima una sua collega di un altro tribunale sanitario aveva già emesso un primo verdetto di NEGATIVITA’ perché il fatto non sussisteva, tra gli applausi dei presenti in aula. Ma ormai sappiamo che anche per il covid esistono più gradi di giudizio, e che le sentenze definitive si rispettano e non si discutono; così, accogliendo d’ufficio la richiesta dell’attenuante generica per il ciclo vaccinale regolarmente completato, il giudice mi condanna a 7 giorni di quarantena (o isolamento, fate voi…) per POSITIVITA’ colposa, da scontare agli arresti domiciliari.

Perciò, a due anni e mezzo dall’inizio della pandemia, anch’io, nel mio piccolo, finisco per influenzare le varie percentuali giornaliere dei nuovi infetti e degli indici di contagio e di incidenza del virus: meglio tardi che mai…

Dopo una prima reazione tra lo scettico e l’agnostico, e una seconda colma di imprecazioni, accidenti e invettive varie, vengo sollecitato dalla famiglia a ritirarmi in quella che per 7 giorni sarà la mia cella: la camera da letto.

Comincio a fare mente locale su come impegnare al meglio questo tempo di ritiro forzato che il crudele destino mi ha assegnato, e voglio sforzarmi di considerarlo un tempo favorevole e utile, magari impegnandomi a renderlo proficuo; voglio essere POSITIVO, ma questo, ironia della sorte, già lo sono… (e giù altre imprecazioni…).

Mi guardo intorno, e cerco di ragionare su come organizzare gli spazi; così sposto dal comò alcuni soprammobili inutili (almeno per l’occasione…) e creo nell’ordine: una nicchia per medicinali e strumenti sanitari e indispensabili per un malato (tachipirina, sciroppo, termometro, fazzoletti ecc.), uno spiazzo per una sorta di beni di prima necessità (acqua, biscotti, the ecc.), e, dopo aver eliminato un centrino ben poco utile alla causa, disegno il margine entro il quale saranno ospitate suppellettili varie (bicchiere, posate ecc.); infine individuo la postazione su cui deporre la mascherina, che rappresenterà il mio braccialetto elettronico da non dimenticare mai ad ogni apertura di cella…

A prima vista sono abbastanza soddisfatto del risultato; ora passiamo all’elenco di ciò che potrà servirmi, ma dato che ho davanti a me un armadio pieno di vestiti e biancheria, riduco la lista al caricatore del cellulare e al notebook: magari scrivo qualcosa…

Dopo aver stabilito quale bagno sarà a mio uso esclusivo, le mie richieste vengono tempestivamente esaudite, con l’aggiunta di un piccolo tavolino di fortuna che dovrà servirmi per i pasti.

Pochi minuti di quiete, che ancora non saprei se definire prima o dopo la tempesta, uno sguardo dalla finestra, una soffiatina di naso ed ecco scoccare uno dei pochi appuntamenti che scandiranno le mie prossime giornate: il pranzo. Il carceriere con voce ovattata mi avverte che sta per entrare e mi raccomanda di indossare la mascherina e di allontanarmi; dopodiché appoggia il vassoio, accenna un saluto con la mano e richiude la porta dietro di sé.

Consumo il mio primo pasto da recluso allietato da una videochiamata con il resto della famiglia, durante la quale cerchiamo di risolvere complesse equazioni nel tentativo di calcolare con esattezza i periodi di quarantena, isolamenti volontari e autosorveglianza, con l’intento di scongiurare la peggiore delle sciagure estive: la rinuncia alle ferie!

I contatti tra i membri della famiglia sono frenetici, e a fine giornata si giunge ad una conclusione: bisogna modificare le vacanze. Dopo una cena abbastanza frugale, mi sdraio sul letto e, tra un colpo di tosse e una soffiata di naso, mi addormento sfinito.

continua…


Paolo Scafati