Vincenzo Musacchio: “Condivisibile la decisione della Corte dell’Aja sulle accuse di genocidio”. “Giudici imparziali ma poco coraggiosi, avrebbero potuto fare di più”.
di Lucia De Sanctis 

Professor Musacchio, cosa è successo a L’Aja?

La Corte di Giustizia delle Nazioni Unite ha deciso di accogliere il ricorso del Sudafrica ed ha aperto un procedimento a carico dello Stato di Israele. Le motivazioni di questa decisione sono lineari e precise: “Le condotte di guerra tenute da Israele potrebbero rientrare tra quelle sancite dalla Convenzione sul Genocidio del 9 dicembre 1948”. Secondo i giudici dell’Aja, alcune azioni compiute da Israele configurerebbero condotte di genocidio contro il popolo palestinese di Gaza.


Secondo lei quali condotte qualificherebbero il genocidio da parte di Israele?

L’assedio pressoché totale nei confronti della Striscia di Gaza, comprensivo per espressa direttiva dei vertici governativi israeliani della sospensione della fornitura di acqua, cibo, elettricità, carburante e del blocco dell’afflusso di aiuti umanitari (cfr. le dichiarazioni del Ministro della Difesa israeliano Gallant) - con il valico di Rafah con l’Egitto, i confini di Gaza sigillati e controllati dalle forze israeliane - configura, a mio giudizio, diverse fattispecie criminose previste dallo Statuto Onu tra cui anche il genocidio. Ci sono i requisiti giuridici per una condanna di Israele già solo su questa condotta.


Perché secondo lei la Corte di Giustizia non ha deliberato il cessate il fuoco?

Il fatto che la richiesta di cessate il fuoco a Gaza non compaia tra le misure provvisorie applicabili dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja a Israele, credo sia frutto di una scelta politica o di un errore macroscopico. Propendo più per la prima ipotesi. Non è possibile affermare che possano sussistere gli estremi di condotte di genocidio e poi non chiedere né il cessate il fuoco e tantomeno una tregua.  A me pare una evidente contraddizione. Ad onore di chiarezza e verità devo anche dire che questo tribunale internazionale non ha la necessaria copertura politica e tantomeno la forza giuridica per fermare la guerra. Avrebbe tuttavia potuto chiedere sia la fine della guerra sia una tregua anche come semplice deliberazione di intenti.


Si arriverà ad una sentenza definitiva?

Assolutamente sì. Con il rigetto dell’istanza di archiviazione si apre un vero e proprio processo che deve giocoforza portare ad una sentenza definitiva, sia essa di condanna o di assoluzione.


Tutti quei morti palestinesi dopo l’attentato di Hamas cosa ci dicono?

A me sembra sufficientemente chiaro cosa dicono. La foto dei fatti è lapalissiana: 1.200 israeliani uccisi vedono come risposta, al momento, oltre 26.000 palestinesi vittime dei raid israeliani. Su questa situazione oggettiva i giudici del tribunale internazionale dovranno esprimere un giudizio soffermandosi proprio sull’operato dell’esercito e del governo israeliano a Gaza. Ciò che deve essere verificato pertanto è se vi sia stata, nell’azione di Israele, la volontà di procedere con l’uccisione sistematica di un popolo in quanto tale, precondizione necessaria affinché si possa contestare il delitto di genocidio. Alcune delle azioni intraprese, dicono i giudici, fanno ipotizzare che ci sia effettivamente stata una violazione della Convenzione sul Genocidio. Speriamo che la Corte, pur con i suoi poteri fortemente limitati, abbia il coraggio e la forza morale di esprimersi senza condizionamenti provenienti dall’esterno. È in gioco la credibilità della giustizia penale internazionale.


La Corte ha dato dei termini stringenti ad Israele. Per quale motivo questa perentorietà?

Sicuramente a scopo precauzionale e conservativo. Israele ha un mese di tempo per riferire di fronte alla Corte dimostrando con prove genuine il non avvenuto presunto genocidio a Gaza. Vorrei sottolineare che la Corte non sta giudicando soltanto sulle prove a sostegno del ricorso presentato dal Sudafrica ma vi sono numerosi rapporti delle Nazioni Unite che ormai da mesi, anche con il forte supporto del Segretario Generale Antonio Guterres, denunciano raid su civili e su ospedali nella Striscia e chiedono un cessate il fuoco che eviti ulteriore spargimento di sangue innocente. Per la Corte, sulla base di queste dettagliatissime relazioni, Gaza è diventata un luogo di morte e disperazione, dove sono state sfollate quasi 2 milioni di persone in una striscia di terra diventata “inabitabile”.


Israele, secondo lei, a questo punto cosa potrebbe fare?

Innanzitutto, credo che Israele fosse quasi certa di veder respinto il ricorso intentato nei suoi confronti in base alla Convenzione sul Genocidio. I giudici, invece, hanno ordinato a Gerusalemme di prevenire gli atti di genocidio contro i palestinesi e di fare di più per evitare vittime civili.  Nonostante questa prima disposizione della Corte aumenti la pressione sul governo d’Israele, chiamato a rispettare le disposizioni del principale organismo giuridico delle Nazioni Unite e pressato dagli alleati per arrivare a un cessate il fuoco, credo che le ostilità non si fermeranno né avranno una tregua, tantomeno ci saranno trattative per la nascita di uno Stato palestinese e questo perché uno scenario simile significherebbe la morte politica di Benjamin Netanyahu.

 

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra