JFK, parenti e nemici

 John Fitzgerald Kennedy nacque a Brookline, nel Connecticut, il 29 maggio 1917, da famiglia di origine irlandese.

Il padre, Joe, era  un affarista impicciato un po’ in tutto, dal contrabbando di alcool al cinema,  fino all’alta finanza. Ambizioso e avido, Joe sposò la figlia del sindaco, la timida e riservata Rose. L’ambiente era rigidamente cattolico. Lui fu per un po’ anche ambasciatore a Londra.

JFK era il secondo maschio,  dopo Joe Jr e prima di una caterva di altri figli, fino al numero di nove. Chiacchiere irriverenti hanno sparso la voce che Rose accettasse rapporti sessuali con il marito solo al fine di procreare.

Com’è risaputo, la famiglia attraversò drammi di ogni sorta già negli anni ’40. Joe Jr, pilota militare, morì in un incidente aereo; una sorella incontrò una fine analoga; un’altra fu ricoverata - e segregata - in un istituto per malattie mentali: ecco la nidiata ridotta a sei. Di questi, tre erano femmine, ma restavano pur sempre altrettanti maschi per la realizzazione delle ambizioni politiche del patriarca, che voleva un figlio presidente. Lui stesso lo avrebbe fatto, ma aveva espresso, sia pur cautamente, simpatie per l'anticomunismo di Hitler, tagliandosi le gambe.

La scelta era obbligata: toccava al maggiore, una sorta di erede al trono in quella che era già considerata la dinastia reale americana. E poco importava che i Kennedy provenissero da una famiglia miserrima, riparata in America spinta dalla fame, durante la “carestia delle patate” nell‘ Irlanda dell' 800. Gli americani,  che ancora si sentivano i fratelli minori dell’ex padrone britannico, avevano bisogno di un re. Furono accontentati.

John, fisico prestante, sorriso aperto, era molto sportivo, come tra i Kennedy si pretendeva, al limite dell’incoscienza.

Dopo i canonici studi giuridici, andò in guerra e riportò una  ferita alla schiena, che gli procurò sempre dolori lancinanti. Fu operato e curato con potenti farmaci.

A un certo punto contrasse una rara malattia, il morbo di Addison, una disfunzione delle ghiandole surrenali. Allora come oggi la cura è a base di massicce dosi di cortisone. Pertanto si può affermare che il futuro presidente, in fatto di salute, ebbe i suoi grattacapi e di certo soffriva molto.

Riguardo alla sua vita sentimentale, si è favoleggiato senza risparmio,.

Trovò questa splendida moglie, che tradì incessantemente. Jackie, di lontane origini francesi, non ricca ma di ottima educazione, era in difficoltà. Per la campagna elettorale nelle province rurali della nazione era inadatta, perché ritenuta troppo snob. Nella famiglia acquisita era un po' ignorata e un po' derisa, tra quelle ragazze Kennedy che praticavano giochi e sport violenti e grossolani. Inoltre Jackie non riuscì ad avere una torma di figli, come la suocera e la cognata Ethel, moglie di Bob; spesso subiva aborti, un figlio morì alla nascita. Si rifece come first lady, ruolo che interpretò magnificamente, anche se si deve presumere, guardando i filmati ufficiali dell’epoca, che l’attività le procurasse molta tensione. Si dice che volesse divorziare, visto che le scappate del consorte erano sfacciate ed esibite, ma che il suocero l’abbia convinta a desistere, in cambio di un milione di dollari.

 Nei Kennedy c’era arroganza, anche in fatto di donne. Secondo alcuni amici e compagni di studi,  JFK era soprannominato “uccellone” e li esortava a fare molto sesso perché, come gli aveva insegnato il padre, faceva bene alla salute.

Fu sempre un figlio devoto e non si permise mai di discutere le decisioni paterne, nemmeno in tale materia. Ricordiamo che Kennedy senior fu capace di portarsi in crociera, contemporaneamente, moglie e amante, l’attrice Gloria Swanson, superdiva dei tempi del muto. Nonostante tutto, forse Joe era più accorto del figlio e azzardava là dove sapeva di non rischiare. Di più, pare che spillasse alle amanti pure un bel po' di quattrini.

JFK non si limitava a qualche avventuretta, per esempio con stagiste in cerca di affermazione (di per sè già abbastanza pericolose, come s’è visto). Frequentava compagne di mafiosi, figure di donne un po’ losche, attrici dalla riservatezza non garantita. Credeva di passarla liscia perché allora queste notizie non venivano divulgate e c’era un patto tacito tra politici, anche di opposta fazione: certi argomenti non si toccavano e non si usavano a scopi elettorali. Si dice che in realtà qualcuno, ad esempio Richard Nixon *, in realtà lo facesse.  Edgard J.Hoover pare ne abbia approfittato largamente per ricattare presidente e fratello.

 

Kennedy, com’è noto, vinse le elezioni presidenziali di stretta misura e fu sempre accusato di aver fruito dei voti garantiti dai clan mafiosi. Secondo sommarie interpretazioni, una volta insediatosi  alla Casa Bianca si dimenticò di ringraziarli, anzi li fece perseguire penalmente, aiutato dal fratello Bob, nominato ministro della giustizia: per questo ambedue sarebbero stati uccisi.

Tornando al 1960, fresco di vittoria e da poco papà di un altro figlio, per giunta maschio, JFK era all’apogeo. La sua famiglia esultava. Il “casato” si insediò. Il fratello Bob divenne appunto ministro. I cognati (tra cui l’ambiguo attore inglese Peter Lawford e il  futuro suocero di Schwarzenegger, Sergent Shriver) entrarono nell’organizzazione che ne curava gli interessi. Il fratello minore Ted, sposato con una splendida ex modella, studiava da politico.

Di Kennedy presidente è stato detto abbastanza. Di certo, egli arrivò alla vetta sospinto dagli spasmodici sforzi del padre, ma era comunque, come americano, colto e amante delle culture diverse. Non snobbava l’Europa, in questo aiutato dalla raffinata moglie bilingue. Di certo non si può pensare che avesse mano libera negli affari di stato, dovendo anche confrontarsi con un consenso asmatico e un forte dissenso interno al partito. Amava le posizioni progressiste. Fece in modo che gli afroamericani si introducessero quanto più possibile nelle istituzioni, a partire dall’FBI. Già durante la campagna elettorale aveva mostrato interesse per tutti i gruppi sociali : durante un memorabile comizio lasciò la parola a Jackie, che si espresse in italiano alla comunità di Brooklyn. Ricevette un gruppo di giornaliste, per mostrare la propria attenzione al femminismo (Jackie era stata apprendista reporter prima di sposarlo). Durante un incontro con il reggente saudita Faisal, lo esortò ad abolire la schiavitù ancora praticata in quel paese e il sovrano seguì il suo consiglio. In definitiva, lavorò bene per l’immagine.

 Sulla questione razziale il presidente e il fratello apparivano decisi, sinceramente interessati all’integrazione. Le accuse di Malcom X, secondo cui i bianchi offrono aiuto solo per opportunismo e bieco calcolo, sono ingenerose, in questo caso, visto che non c’era proprio nulla da guadagnarci. Se i due Kennedy pensarono che i neri integrati sarebbero stati un valido aiuto “elettorale”, dovettero commettere un ingenuità. Gli afroamericani incontravano enormi difficoltà ad esercitare il diritto di voto; in compenso, secondo i calcoli, si perdeva qualche milione secco di voti “bianchi”.

 Non mancarono comportamenti ambigui. JFK avversò lo scià di Persia, Reza Phalavi, tentando di sostituirlo. L'imperatore iraniano invece restò in sella e Kennedy mutò rapidamente il proprio atteggiamento: inviti alla casa Bianca, salamelecchi tra first lady e un alleanza di ferro tra i due paesi (fino alla fuga dello scià nel 1979 e l'avvento degli ayatollah, ma questa è un'altra storia)..

Simpatizzante qual'era della causa "nera", Kennedy si presentò al mondo come un convinto fautore del "panafricanismo", lasciando intendere che avrebbe fatto di tutto per la creazione di una sorta di nazione africana. Le contraddizioni di quel continente, gli interessi in gioco, la guerra fredda, finirono per risucchiarlo nel balletto delle alleanze tradizionali e la morte lo colse nel pieno di questi dilemmi.

 Mal consigliato, JFK  fu in pratica l'artefice della guerra in Vietnam. Provocò la crisi di Cuba, con l’invasione della Baia dei Porci per evitare, ufficialmente, che l'Unione Sovietica installasse i propri missili a un tiro di schioppo dalla Florida. L’isola caraibica era da poco in mano a Fidel Castro. Che i due si odiassero è una leggenda tutta da dimostrare, raccontata con i toni di un gossip.

Se JFK prendeva qualche iniziativa di tipo diverso, e troppo avanzata, doveva subito indorarla con affermazioni  patriottiche e anticomuniste. Incontrò Krusciov. Coniò, o commissionò agli scrittori dei suoi discorsi, alcune celebri slogan, come “Non chiedetevi cosa può fare il vostro paese per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese”. Oppure, quando si recò in visita in Germania Ovest, “I am a Berlineer”, per significare la partecipazione al dolore di una nazione divisa. Per la cronaca, gli capitò di stringere la mano a un giovanissimo Bill Clinton, in visita con altri studenti alla Casa Bianca.

 L’epoca era segnata dalla guerra fredda e JFK, più o meno consenziente, si ritrovò a rappresentare un modello per i giovani progressisti, o presunti tali, di tutto il mondo. Competeva con figure non da poco, come Mao Zedong. Solo che il controverso Mao  morì nel suo letto e, di più, le leadership orientali sono ancor più difficili da decifrare. Prima di tutto occorrerebbe decodificarne la cultura, impresa impegnativa anche negli odierni  e globali tempi. Di fatto, figure così rappresentative vengono contrapposte per amor di intrigo e mille altre ragioni, non tutte valide. 

 Un breve accenno alle infamanti accuse di aver in qualche modo responsabilità nella morte di Marylin Monroe. Questi pettegolezzi nacquero dal clima in cui l’attrice  era immersa  (si da per certa una sua relazione con il boss mafioso Sam Giancana) e dalle spericolatezze sessuali del presidente.

In questo calderone si è potuto vedere di tutto, dentro un caleidoscopio dove gira questa versione: JFK  si diverte ad andare a letto con la diva ormai instabile, se ne stanca e dice al fratello di liquidarla.  Bob però si fa un giro con lei (addirittura viene dato presente a casa dell'attrice la notte della morte). I  malavitosi tengono i telefoni sotto controllo e uccidono la ragazza a scopo ricatto; oppure lei muore mentre sta in compagnia di Bob.

Hoover  copre la malefatta e poi inscena il suicidio dell’attrice. Una fiction intrigante, che dà da mangiare da decenni a scrittori, giornalisti e chiunque voglia guadagnare soldi facili scrivendoci su. Per non alimentare  ulteriori insinuazioni, forse sarebbe stato opportuno evitare che la platinata star, poco prima della morte,  si presentasse al compleanno del presidente (mentre Jackie se ne stava a cavalcare in Virginia), con un abito cucito addosso e cantando un "happy birthday" zeppo di sospiri osceni.

 JFK appariva padre affettuoso e marito magnanimo. A fronte delle libertà che si concedeva, non negava alla moglie evasioni come la crociera di lei, ospite di Onassis, dopo la morte del terzo figlio neonato. La inviava in viaggio presso paesi lontani, perché contava sul fascino e sulla cultura di Jackie per ammorbidire capi di stato meno amichevoli, come accadde in India, con il Pandit Nehru. Può sembrare poco, ma all’epoca, quando first lady e presidente dovevano apparire inseparabili, non lo era. Certo, erano ghiotte occasioni per levarsela di torno, sostiene qualcuno. E allora interveniva Hoover, con le sue ramanzine tra il paterno e il minaccioso. Presidente e consorte ricominciavano a rigare diritto e a mostrarsi la domenica mattina a messa.

Continua...