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Lee Harvey Oswald, il 22 novembre 1963, era un ragazzo di New Orléans, di 24 anni, sposato con una russa, due figlie. Aveva risieduto in Unione Sovietica. Si era fatto notare come sovversivo. Viene da chiedersi perché uno così non fosse tenuto d’occhio da CIA, FBI, Polizia e quanto d’altro esisteva per reprimere presunti terroristi e comunisti, in un clima ancora fortemente connotato dal maccartismo. I palazzi che circondavano il corteo presidenziale non erano tutti occupati da militari armati fino ai denti: quel deposito di libri era deserto e Oswald vi poté stazionare indisturbato, con un fucile in mano.
Oliver Stone ha fatto un film ipnotico e dal ritmo incalzante (*1), che getta luci intermittenti su fatti e persone, lasciando lo spettatore colpito e confuso.
Il procuratore Garrison, vero protagonista del film, dedicò la vita a ricerche sull’episodio e fece di tutto per insinuare il dubbio che, alla base del fatto, ci fossero complotti intrecciati e vizi privati da nascondere.
Anche in questo caso la storia è stata ampiamente sfruttata con i più vari fini, primo fra tutti quello di far soldi con libri che ne parlavano.
Di recente sono emerse tendenze di segno opposto: non c’è nulla da ipotizzare, le cose andarono così come sono state raccontate.
Secondo queste interpretazioni, improntate all’apparente serenità di giudizio e decise a combattere ogni sorta di paranoia “complottista”, Oswald era un giovane disadattato, che gli investigatori non prendevano sul serio. Ossessionato dall’idea di compiere un gesto clamoroso, aveva scelto quell’azione, prevedendo di suscitare l’interesse dei media e di scansare la pena capitale. Contava sull’opinione pubblica mondiale, che avrebbe voluto “saperne di più”; inoltre si proponeva una forma di rivalsa verso la moglie Marina, che non lo considerava abbastanza.
Purtroppo per lui, mentre la polizia, rapidamente catturatolo, lo scortava in centrale, un malavitoso, tale Jack Ruby gli sparò per “vendicare” la nazione di quella grave perdita, almeno secondo la versione ufficiale. Secondo altri, il delitto era di stampo mafioso: l’onorata società aveva commissionato l’omicidio del presidente e inviato un sicario a far fuori l’assassino perché non parlasse. Ruby stesso sopravvisse di pochi anni e morì di tumore senza aver rivelato alcunché.
Naturalmente si susseguirono le ipotesi più svariate.
Ad ammazzare il presidente era stato il suo vice Johnson, per subentrargli; era stato Fidel Castro, che lo odiava, ricambiato; era stata la mafia, da lui perseguita dopo essere stata usata. Secondo alcuni, sempre presupponendo un complotto, erano arrivati i contributi di gruppi che lo detestavano, per esempio i razzisti del sud, infiltrati un po’ ovunque, anche nelle forze dell’ordine (dopotutto, l’omicidio avvenne in Texas ).
Dobbiamo accontentarci.
Come non bastasse il resto, ora si scatenano altre rivelazioni: Jack Kennedy assumeva "certe" sostanze. Vero o no, con il morbo di Addison e la schiena a pezzi, allora c'era poco da scherzare. Stupirebbe piuttosto la sua leggendaria attività sessuale in queste condizioni...
Il fratello di JFK, Bob, sulle prime rimase stordito dalla tragedia. Anche se il nuovo presidente Johnson gli confermò la sua fiducia, non fu in grado di proseguire le sue brillanti indagini contro la mafia e mollò la presa per qualche anno. L’omicidio del presidente aveva ottenuto almeno un risultato, esultavano i teorici della cospirazione e delle responsabilità mafiose.
Cuba prosperò e i sovietici invasero anche la Cecoslovacchia ( agosto 1968): vedete? Gongolavano gli accusatori di Castro.
Fu ucciso a Memphis, sempre nel sud, (aprile 1968) anche il reverendo Martin Luther King, oggetto da tempo pure di una campagna diffamatoria: dilagarono i sostenitori della pista razzista.
Il successore Lyndon Johnson, un texano dall’indole timorosa, fece approvare la legge federale contro il razzismo che Kennedy non aveva fatto in tempo ad emanare, ma sotto il suo mandato scoppiarono i più violenti disordini nei ghetti della storia americana, a stento sedati. Il nuovo presidente cercò il gradimento delle masse americane, proseguendo la guerra in Vietnam contro i “rossi”.
Tutto ciò non bastò a scoraggiare Bob che, proprio nell’anno – polveriera 1968, si accinse alla scalata alla casa Bianca.
Alcuni lo stimavano più del fratello e confidavano sulle sue qualità, per un mandato presidenziale che sembrava scontato.
Nato nel 1925, più piccolo e meno atletico del presidente, l’aria intellettuale per via degli occhiali che spesso portava, godeva fama di puritano ultrareligioso: aveva dieci figli e la moglie Ethel era in attesa dell’undicesimo. Non possedeva il carisma di John, ma appariva più vicino al popolo. Si passava spesso la mano a ravviare il ciuffo sulla fronte, in un gesto che lo caratterizzava.
Era girata qualche chiacchiera su sue scappatelle extramatrimoniali, subito soffocata. Si insinuò che il suo atteggiamento protettivo verso la cognata vedova e i nipoti orfani nascondesse dell'altro ed Ethel non gradisse.
Questa era la situazione, quando Bob parlò alla convention del partito democratico a Los Angeles, che lo vide trionfare sul rivale di partito, il 5 giugno di quell’anno. Non volle forze dell’ordine a presidiare il comizio, perché ciò sarebbe apparso poco “popolare”. Concluse il discorso con le parole “ e adesso vado a vincere a Chicago”, scese dal palco e fu colpito da un colpo di pistola alla testa, sparato, per quanto accertato al momento, da un giordano - palestinese, tale Sihran Bishara Sihran. Bob morì poco dopo. Alle elezioni dell’autunno successivo fu eletto un repubblicano, il quacchero (*2) Richard Nixon, consuocero di Eisenhower.
Negli anni Sihran negò di avere responsabilità nell’omicidio e si scatenarono altre ipotesi di cospirazione, che vedono coinvolti anche poliziotti e si basano su bossoli in dotazione alle forze dell'ordine ritrovati in giro, una ragazza con il vestito a pois e via di questo passo.
Tutto da rifare. Il patriarca Joe morì nel 1969, dopo anni di semincoscienza dovuta a un ictus. La vedova Rose, quasi ottantenne, secondo alcuni prese le redini della situazione, imponendo al “piccolino” Edward, detto Ted, classe 1932, la carriera di famiglia.
Ted non doveva averne troppa voglia, non da ultimo per l’alta probabilità di venire accoppato. Con la bella moglie, l’ex indossatrice Joan, le cose andavano così e così; lei avrebbe voluto una vita diversa, più simile a quella che conduceva prima di sposarsi. Beveva forte, non abbastanza consolata dai tre figli e dopo aver tentato, a propria volta, maternità finite con aborti spontanei. Inoltre la ragazza sfornava papere in quantità davanti ai giornalisti, insomma non era proprio adatta a fare la first lady. Sarebbe stato meglio lasciar perdere.
Sempre nel 1969 Ted, al volante dopo una festa, finì in un lago con la macchina. Se la cavò, ma non altrettanto fortunata fu la ragazza che era con lui, la sua segretaria Mary Jo Kopechne, morta annegata. Fine di una carriera politica che doveva ancora nascere.
Ted si separò dalla moglie. Nel 1980 il partito democratico, a corto di candidati dopo Jimmy Carter che partiva sfavorito dagli eventi internazionali, gli chiese di riprovarci. Edward si rimise pateticamente con Joan e provarono ad inscenare il felice matrimonio di un Kennedy e la sua sposa, ritrovatisi dopo una crisi. Non servì a nulla. Gli americani, manovrati a dovere su questi temi, non ci credettero.
Erano usciti scornati dalle paludi vietnamiti, angosciando il pianeta con film pieni di sensi di colpa sull’argomento; i loro amici nel mondo perdevano il potere e l’ambasciata in Iran era stata presa d’assalto dai khomeinisti. Ci voleva un uomo forte, che trovarono in un repubblicano: l’attore, che in pochi ricordavano, Ronald Reagan.
Era prevedibile. Ted rinunciò per sempre, divorziò da Joan e si risposò. Un posto da senatore per lui c’è sempre. Per chi l’ha seguito in questi anni, le sue posizioni politiche sono eccellenti, per un americano: libero da pressioni familiari, è possibile intuire, dai suoi interventi, un’intenzione pacifista ed ambientalista, velata per non danneggiare il partito, ma inequivocabile. Figlio devoto per la madre morta centenaria, zio affettuoso per i nipoti orfani, forse è più felice così ( se il pensiero di Mary Jo gli ha dato tregua).
Un solo neo: qualche anno fa, in una villa di Miami, in compagnia di uno di questi nipoti ( il figlio della sorella più giovane Jean), lo perse un po’ di vista e il ragazzo si beccò un processo per violenza sessuale su una giovane ospite.
Il rampollo fu assolto, dichiarandosi semimpotente, ma rigenerando le accuse ai maschi di casa che, per questioni di donne, si mettono spesso nei guai e la fanno franca. L'opinione pubblica mondiale rumoreggiò nuovamente contro il razzismo USA, poiché negli stessi giorni il pugile nero Mike Tyson, per motivi analoghi, prese una condanna a sei anni.
Eredi politici “di sangue” non ce ne sono, né se ne vedono all’orizzonte, per il momento.
La generazione successiva ha “passato”.
Della nidiata di Bob, una figlia ha sempre svolto attività politica, ma a livelli locali. Due maschi sono morti tragicamente, uno negli anni ’70 per overdose, l’altro negli anni ’90 durante uno di quei temerari giochi kennedyani , un misto di sci e palla rilanciata dove, se ti distrai per guardare l’avversario, ti schianti contro un albero: appunto ciò che avvenne all’ultraquarantenne sportivone.
La figlia maggiore di JFK, un’ ottima signora di nome Caroline, classe ’57, è felice moglie e madre di tre figli e ha sempre condotto una vita defilata, ancor più dopo la morte di Jackie nel 1994. Al suo benessere hanno contribuito le donazioni del defunto patrigno, l’armatore Aristotile Onassis.
Il bellissimo John jr., nato nel 1960, dopo aver faticosamente trovato una moglie di classe, cosa che quando era in vita la madre gli era stato impossibile, prese il brevetto di pilota, altra passione che Jackie aveva sempre ostacolato.
Un giorno di luglio del 1999, affannato, in ritardo e sprovvisto del piano di volo, JJ imbarcò consorte e cognata e si mise ai comandi di un piccolo aereo, meta l’isoletta di Martha’s Vineyard, per il matrimonio della cugina. Qualcuno afferma che si è trattato della consueta burbanza dei Kennedy, convinti di potere tutto, e che il ragazzo sia stato tradito dall’inesperienza, in una giornata con le nubi basse e nessuna visibilità. Altri smentiscono l’interpretazione, sostenendo che la fatalità miete vittime anche tra i migliori professionisti. E’ andata come sappiamo.
I figli di Ted non si sono mai messi in mostra. Ci furono momenti difficili, seguiti all’amputazione della gamba di uno dei maschi per una malattia, su cui i giornali si erano avventati, quando ancora la famiglia faceva notizia.
Uno “gagliardo” ci sarebbe: si chiama Arnold Shwarzenegger e ha sposato Maria Shriver, figlia di Eunice, una delle sorellone Kennedy. E’ stato ministro dello sport con Bush padre: venne fotografato mentre, con un sigaro in bocca, cullava il figlio neonato. E' giunto alla carica di governatore della California, dopo essersi autoaccusato di molestie sessuali, senza smentire un passato semiporno e infedeltà coniugali, tanto per non essere da meno degli zii acquisiti. Poi ha assunto posizioni più avanzate, mostrando simpatie per l'ambientalismo, i diritti civili, le tutele dei lavoratori. Però non è nato negli Stati Uniti, condizione imprescindibile per legge, se si ambisce a diventare presidenti. In più ha divorziato dalla Kennedy, quindi, andato anche lui.
Per cui Ted Kennedy smise di cercare in famiglia e decise di sponsorizzare un giovanotto promettente: Barack Obama. Fece a tempo a vederlo presidente e scomparve, ormai molto malato, nel 2009.
(*1) "JFK", 1993
(*2) Richard Nixon. Politico statunitense, repubblicano, presidente USA dal 1968 al 1974, deposto in seguito allo scandalo Watergate , uno spionaggio illegale. Era di religione quacchera. Si tratta di una setta religiosa in ambito protestante (letteralmente "tremanti"), i cui adepti professano intransigenza morale, nell'abbigliamento ecc.