Starlink, il progetto spaziale di Elon Musk, non è più solo un'idea futuristica per colmare il divario digitale globale. Da quasi dieci anni, infatti, si parla di “internet nello spazio”, un concetto nato per garantire la connettività in zone remote e in situazioni di emergenza, ma che oggi ha assunto una piega ben più spietata e strategica. Un contratto da 1,5 miliardi di euro, attualmente in trattativa a Palazzo Chigi, potrebbe infatti aprire a Starlink l'accesso al mercato europeo delle telecomunicazioni militari, trasformando un progetto civile in una vera e propria arma di geopolitica.

Inizialmente concepito con scopi quasi umanitari – "ricostruire internet nello spazio" per dare connettività alle zone più isolate – Starlink ha progressivamente evoluto la sua missione. Musk, con il suo piano, intende mettere in orbita fino a 12.000 satelliti a circa 500 chilometri dalla Terra, una distanza che permette velocità di trasmissione eccezionalmente migliori rispetto ai tradizionali satelliti geostazionari. Ma il prezzo da pagare è alto: la vicinanza all'atmosfera comporta una vita utile dei satelliti drasticamente ridotta, rendendo necessaria una sostituzione frequente e, di conseguenza, una continua produzione in serie.

La capacità di lanciare satelliti a basso costo è diventata il punto di forza di SpaceX. Con un investimento da 10 miliardi di euro e grazie ai 22 miliardi di contratti ottenuti dal governo americano, l'azienda di Musk ha ridotto i costi dei trasporti spaziali del 40%, utilizzando razzi riutilizzabili e lanci multipli che possono portare fino a 60 satelliti per ogni missione. Questa strategia non solo ha trasformato il settore, ma ha anche permesso a SpaceX di dominare la corsa per occupare l'orbita bassa, dove "chi prima arriva, meglio alloggia".

Il passaggio dal mondo civile a quello militare è stato rapido e senza scrupoli. Dopo i primi contratti governativi negli Stati Uniti – uno da 143 milioni di euro per il rilevamento missilistico e un altro da 1,8 miliardi per una costellazione di satelliti spia – è nata Starshield, la divisione top secret dedicata a servizi militari e di intelligence. La dimostrazione di efficacia è arrivata con il cyber-attacco russo contro il sistema satellitare ucraino nel 2022, quando la rete di Starlink è intervenuta prontamente per supportare le operazioni militari di Kiev.

Questa capacità di colmare il gap militare, unita all'incontro tra l'ingegnosità tecnologica di Musk e i miliardi di dollari in gioco, ha reso Starlink una pedina fondamentale in un gioco geopolitico sempre più cruento. Secondo la società di business intelligence Quilty Space, i contratti governativi hanno già rappresentato il 28% dei ricavi di Starlink, e le previsioni per quest'anno parlano di oltre tre miliardi di incassi derivanti da queste collaborazioni.

Il nuovo contratto da 1,5 miliardi di euro proposto all'Italia è emblematico di una tendenza che preoccupa: l'apertura delle infrastrutture di comunicazione strategica agli Usa. La legge italiana sullo Spazio, approvata di recente, impone la creazione di una "riserva di capacità trasmissiva via satellite nazionale", ma accetta a braccia aperte anche soluzioni gestite da soggetti appartenenti all'UE o all'Alleanza Atlantica, spalancando un'autostrada all'utilizzo di Starlink.

Il problema, tuttavia, non si limita a una questione economica. Affidarsi a un sistema il cui controllo finale rimane nelle mani degli Stati Uniti significa esporsi al rischio di sorveglianza e interventi esterni. La Cloud Act del 2018, ad esempio, permette alle autorità americane di accedere ai dati delle aziende statunitensi, ovunque questi siano localizzati, compreso lo spazio. Non basta, poi, la capacità tecnica di cifrare le comunicazioni: la presenza di unità come la National Security Agency rende reale il timore di un'infiltrazione nelle comunicazioni strategiche italiane, dalle ambasciate alle operazioni militari all'estero.

La proposta di contratto da 1,5 miliardi di euro, pur rappresentando una possibile opportunità economica, evidenzia una realtà in cui la logica del profitto e del dominio tecnologico prevale su quella della sicurezza nazionale. L'Italia, che finora si è accontentata di soluzioni in house e di collaborazioni europee – come dimostrato dai satelliti spia e dalle iniziative in corso con Oneweb e Iris2 – si trova ora a dover scegliere tra una rapida modernizzazione delle sue capacità di comunicazione e il rischio di perdere il controllo sulle informazioni strategiche.

Non c'è spazio per illusioni: affidarsi a Starlink significa cedere parte della sovranità tecnologica a chi, in fondo, risponde solo ai propri interessi. In un mondo in cui la guerra digitale si fa sempre più concreta, la domanda che l'Italia e l'Europa dovranno porsi non è solo "quanto costa", ma soprattutto "a che prezzo".