Il numero di casi positivi al nuovo coronavirus (2019-nCoV) che ha colpito la Cina ha ormai superato quello del SARS-CoV. Nonostante un apparente tasso di mortalità di molto inferiore, infatti, circa il 3% contro il 10% della SARS, il nuovo coronavirus ha mietuto 491 vittime, su circa 24 mila infetti, avvicinando il totale delle vittime dell'epidemia del 2003. Si diffonde, infatti, molto più velocemente, grazie alla subdola insorgenza della sintomatologia nei primi giorni dei soggetti colpiti che, ignari, fanno da veicolo del virus fino alla fine del periodo di incubazione, tra i 5 e i 14 giorni, e al loro conseguente isolamento e ospedalizzazione.
Ma c'è anche un motivo più "tecnico": il coronavirus della SARS era caratterizzato da una deplezione dei nucleotidi nella regione ORF8 del genoma virale, per via di una mutazione casuale che, in sostanza, rendeva meno aggressivo il virus stesso ma ne permetteva una maggiore adattabilità all'uomo. Non è il caso del 2019-nCoV, che presenta, per ora, una struttura proteica completa ORF8, che sembrerebbe essere implicata nella resistenza all'attività antivirale dell'interferone.
La più grande scommessa resta quindi quella di contenere la diffusione del virus, e contemporaneamente monitorare e prevenire eventuali mutazioni che rendano l'epidemia del nuovo coronavirus più grave. Maggiore è la diffusione del virus tra uomo e uomo, maggiori sono le possibilità che possano insorgere nuove mutazioni, rendendo la lotta al virus più difficile.
Va detto che, in genere, tali mutazioni si traducono in una maggiore adattabilità del virus all'uomo, come è avvenuto a metà epidemia per il SARS-CoV "zoppo", tuttavia non è da escludere mutazioni che potenzino l'azione del virus.
Potrebbe accadere, ad esempio, che una singola mutazione in specifiche posizioni (501 o 494) del suo genoma, potenzi facilmente la sua abilità di legame con i recettori ACE 2 con i quali sembrerebbe interagire per entrare nelle cellule.
I primi studi condotti sul suolo di Guangdong, provincia meridionale della Cina, ad opera del Prof. Cui Jie dell'isitituo Pasteur di Shangai, mostrano una notevole capacità di mutazione del genoma virale, addirittura nel corso della trasmissione da un componente a un altro di una stessa famiglia cinese. Alcuni cambiamenti sono "silenti", altri, invece , danno luogo a cambiamenti della capacità del virus di adattarsi all'ambiente: due di queste mutazioni evolutive del virus sono state registrate tra i coronavirus isolati in due membri della stessa famiglia esaminata.