Se c'è un'immagine che fa da filo conduttore all'intervento di Giorgia Meloni al CPAC, l'evento dei nazifascisti d'America, è quella del sorriso a 36 denti, fisso e quasi meccanico, che ha accompagnato ogni frase del suo discorso. Un sorriso così studiato da far sospettare un lungo allenamento davanti allo specchio e di cui probabilmente lei stessa si è vergognata con quel «volevo mori'» detto nel fuori onda una volta terminato il suo "comizietto" (a meno che non fosse riferito a quanto da lei detto).
Ma al di là di questo la premier italiana, dal palco di Washington, ha voluto provare a tenere unite le due sponde dell'Atlantico, senza tradire la linea ucraina e senza scontentare Donald Trump, cercando di dar corpo all'etichetta di pontiera (pontefice pareva esagerata) che le è stata attribuita.
Il nodo principale per l'Europa era capire come Meloni avrebbe gestito il tema più spinoso: il sostegno a Kiev, oggi scomodo per gran parte del GOP in camicia nera. La risposta è arrivata in modo rapido, ma netto. Citando Pericle (la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio), la leader di Fratelli d'Italia ha elogiato gli ucraini come "un popolo orgoglioso che combatte un'invasione ingiusta", ribadendo la necessità di una "pace giusta e duratura". Un messaggio in linea con la posizione europea, anche se confezionato per non suonare troppo diretto. La scelta non deve esser stata apprezzata dal neo tiranno di Washington, tanto che nel suo discorso finale non ha speso una parola di ringraziamento per la premier, nonostante il posto d'onore a lei assegnato, visto che ha parlato subito prima di Trump.
Meloni, però, ha giocato d'astuzia: per conquistare la platea ha puntato su un tema caro a Trump, l'Afghanistan. «Con un leader forte come lui alla guida degli Usa, non vedremo quello che è accaduto quattro anni fa», ha detto, attaccando implicitamente Biden e strappando applausi. Una mossa calcolata: criticare "Sleepy Joe" è sempre una carta sicura al CPAC, anche se la citazione è una palese oltre che colossale fake news, visto che l'accordo con i talebani per il ritiro dall'Afghanistan fu firmato proprio da Trump e gli causò aspre critiche anche dal leader dei senatori repubblicani, Mitch McConnell.
Il cuore del discorso è stato il tentativo di ridisegnare un'alleanza atlantica che non è stata mai tanto in crisi come adesso. «Non può esistere Occidente senza America, anzi, Americhe», ha detto la premier, allargando lo sguardo ai «patrioti» di Centro e Sud America. Ma ha aggiunto: «Allo stesso modo, non può esistere Occidente senza Europa». Un equilibrio difficile, considerando le divergenze su migranti, aiuti a Kiev e politica energetica. Meloni ha provato a superare le contraddizioni con una retorica da crociata: la battaglia è contro «l'invasione dei migranti» (applausi garantiti) e la «culture woke» (definito anche «wokismo»), colpevole di aver diviso Stati Uniti e Europa. La vera minaccia, però, viene dalla sinistra: «Se non esistesse, bisognerebbe inventarla come fonte di ogni male».
Non è mancato il sostegno a J.D. Vance, vice di Trump e volto della svolta isolazionista del GOP, lodato per la sua «difesa dell'identità, della democrazia e della libertà di parola». Un endorsement che suona come un tentativo di agganciarsi alla nuova onda populista americana, pur mantenendo un piede nel campo atlantista, ma che merita uno "'sti cazzi" che vien dal cuore, considerando la censura montante in America e che lei vuole applicare anche in Italia (dalla Rai al ddl sicurezza).
In chiusura, Meloni ha lanciato lo slogan: «Make West Great Again», un'evoluzione transatlantica dell' "America First". «Vogliamo assecondare il declino o combatterlo?», ha chiesto, invitando a «recuperare l'orgoglio delle radici». Ma se l'Occidente è davvero «una cosa sola», come mai USA e UE non sono mai stati così distanti? La risposta della premier è semplice: colpa della sinistra e delle élite progressiste. Un'altra colossale quanto grottesca fake news, visto che a dividere i due continenti siano scelte concrete, dai dazi al Green Deal, su cui Roma e Washington difficilmente troveranno un accordo.
Il dilemma per Meloni è tutto qui: riuscirà a cavalcare l'onda del nazifascismo trumpiano senza rompere con Bruxelles? Ieri ha provato a non sbilanciarsi, ma il rischio di finire nella "lista nera" di Donald — come accaduto a leader troppo critici — è reale. La standing ovation al CPAC non basta, perché più prima che poi la premier dovrà dichiarare pubblicamente da che parte stare. E quel sorriso a 36 denti potrebbe non esserle più sufficiente per compiacere Trump e gli squilibrati che ne tessono le lodi.