Dalle carte consegnate poche settimane fa dal promotore di giustizia Vaticana, Alessandro Diddi, alla procura di Roma emerge una scambio di lettere potenzialmente dirompente nell’inchiesta lunga 40 anni sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Una pista che ha già parziali riscontri per essere stata in parte già seguita e poi inspiegabilmente abbandonata tra le tante di questi anni e che ricondurrebbe all’interno della famiglia della ragazza la sua misteriosa scomparsa. Il carteggio risale al settembre 1983, quando della 16enne figlia di un messo della prefettura della Casa pontificia e cittadina vaticana non si hanno notizie ormai da tre mesi. Nella massima riservatezza l’allora segretario di Stato Agostino Casaroli scrive un messaggio per posta diplomatica a un sacerdote sudamericano inviato in Colombia da Giovanni Paolo II. Il destinatario della lettera viene interpellato su una circostanza specifica e potenzialmente legata al caso, della quale è a conoscenza in quanto per lungo tempo il prelato è stato consigliere spirituale e confessore della famiglia Orlandi. Casaroli vuole avere da lui conferma del fatto che la sorella maggiore di Emanuela, Natalina, gli abbia mai rivelato di essere stata molestata sessualmente dal loro zio, oggi defunto, Mario Meneguzzi. L’uomo è il marito di Lucia Orlandi, sorella del padre di Emanuela e Casaroli a stretto giro di posta diplomatica riceva la conferma di questo episodio, sul quale era stato sollecitato da ambienti investigativi romani: «Sì, è vero — è la replica scritta che arriva da Bogotà — , Natalina è stata oggetto di attenzioni morbose da parte dello zio, me lo confidò terrorizzata: le era stato intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati dove Meneguzzi, che gestiva il bar, la aveva fatta assumere qualche tempo prima».

Questo è il testo che il sito di La7, ancora oggi, continuava a mostrare ad introduzione dello "scoop" del telegiornale di Enrico Mentana che lo stesso direttore aveva mandato in onda ieri sera nel suo tg.

Uno scoop su cui, sue parole, Mentana diceva che la sua redazione aveva lavorato per giorni... dopo verificato accuratamente ogni cosa... per dimostrare che? Che lo zio di Emanuela Orlandi (il fratello della madre), Mario Meneguzzi, aveva molestato sessualmente la nipote più grande, Natalina, che l'avrebbe ricattata minacciando di farla licenziare dalla Camera dove lei era stata assunta (grazie a lui), perché a Montecitorio lo zio gestiva il bar, e che l'uomo visto insieme ad Emanuela prima che scomparisse, di cui è stato fatto un identikit, poteva benissimo essere Mario Meneguzzi. Tutto questo, sempre secondo Mentana, che ha ribadito più volte di aver verificato ogni cosa, sarebbe stato sufficiente a dimostrare che si era aperta una nuova pista nella vicenda di Emanuela Orlandi... una pista mai battuta in precedenza che tirava in ballo la famiglia.

Peccato però che il tanto accurato giornalista Mentana abbia mandato in onda una serie di falsità che sono classificabili come un vero e proprio tentativo di depistaggio.

Una verità, almeno una, nelle sciocchezze mandate in onda da La7 c'era o quasi. Mario Meneguzzi per circa un mese aveva fatto delle avance "verbali" alla nipote Natalina, allora 21enne. La cosa, però, era finita lì. Quando era accaduto? Nel 1978, cinque anni prima del rapimento di Emanuela, che quando è scomparsa aveva 15 anni.

Della cosa Natalina aveva parlato al suo confessore (un sacerdote colombiano) che, evidentemente, non aveva ben chiaro che la confessione dovrebbe essere segreta. Quindi, a seguito del rapimento della Orlandi, questo fatto dal Vaticano venne ritenuto importante, tanto che fu oggetto di uno scambio epistolare tra l'allora segretario di Stato Casaroli e il sacerdote che, successivamente, aveva fatto ritorno in patria.

Peccato però che l'ipotesi familiare, già al tempo, era stata presa in esame dagli inquirenti dell'epoca e subito scartata, anche perché il giorno in cui Emanuela scomparve Mario Meneguzzi e i suoi familiari si trovavano in vacanza nel reatino, nella casa di famiglia, dove la sera stessa telefonò il padre di Emanuela, come testimoniato da Pietro Orlandi.

Inoltre, l'accurato fact checking del grande giornalista de noantri, Enrico Mentana, non ha rivelato che Natalina Orlandi lavorava alla Camera per aver vinto un concorso e non perché l'aveva fatta assumere lo zio che, evidentemente, avrebbe avuto più di una difficoltà a farla licenziare.

Ma Mentana, il grande giornalista Mentana, come poteva sapere di pubblicare delle stupidaggini (il termine corretto è un altro, ma non è elegante scriverlo)? Bastava chiedesse alla famiglia.

Ma non lo ha fatto. Così la famiglia lo ha sbugiardato, svergognato, umiliato... scegliete voi... in una conferenza stampa presso la sede dell'Associazione della Stampa Estera in Italia a cui hanno partecipato Natalina Orlandi, il fratello Pietro e l'avvocato di famiglia che segue il caso, Laura Sgrò. 

Questo è il filmato:

Ora, ricostruita la vicenda, la domanda conseguente è chi abbia messo in moto questa macchinazione, perché di macchinazione si tratta, di cui, consenziente o meno, è stato artefice anche Mentana.

Il grande giornalista di La7 da chi ha avuto il documento oggetto della sua esclusiva? O dal promotore di giustizia Alessandro Diddi oppure dal procuratore della Repubblica di Roma Francesco Lo Voi.

Come è noto, qualche tempo fa il Vaticano aveva fatto sapere che a Diddi la Santa sede aveva affidato il compito di riaprire il caso di Emanuela Orlandi. Pietro Orlandi pensava che realmente da oltretevere si volesse far luce sulla vicenda. Evidentemente non era così. 

Di recente Diddi aveva dichiarato di aver passato tutto quanto era riuscito a raccogliere sul caso al procuratore Lo Voi.

Tirando le somme, chiunque può comprendere che, a questo punto, l'inchiesta vaticana è stata tutta una messa in scena per arrivare a produrre lo scoop di Mentana.

Nella conferenza stampa odierna, Natalina Orlandi non si è certa tirata indietro e non solo ha fatto chiarezza sulla vicenda senza lasciar spazio a dubbi, ma ha fatto sapere anche altro. Nel 2017, l'allora Sostituto alla Segreteria di Stato, cardinale Becciu (che in seguito ha avuto più di qualche problema con la giustizia vaticana), convocò Natalina Orlandi per riassumerle quello che lei ha definito un vero e proprio ricatto: il fratello Pietro doveva finirla con la storia di Emanuela altrimenti lui avrebbe fatto circolare un documento che la riguardava e che non le avrebbe fatto piacere. Probabilmente, quello diffuso da Mentana è il documento cui si riferiva.

Ma perché il Vaticano, con l'aiuto consapevole o meno della Procura di Roma e del tg di La7, avrebbe organizzato questo tentativo di depistaggio da spy story?

Lo ha spiegato Pietro Orlandi in conferenza stampa. In questi giorni si dovrebbe riunire al Senato la commissione per calendarizzare l'approdo in Aula della Commissione d'inchiesta parlamentare sulla vicenda di Emanuela Orlandi e già molti cardinali stanno facendo pressione su alcuni senatori perché questa commissione non veda la luce. Lo stesso Mentana - chissà per quali finalità - aveva auspicato che in Aula la proposta venga bocciata.

A questo punto, però, il depistaggio vaticano si è pesantemente ritorto contro chi lo ha organizzato gettando non un'ombra, ma secchiate di fango (anche in questo caso il termine esatto non si può scrivere) sulla Santa sede e sui preti che ne gestiscono la macchina e i meccanismi.

A questo punto, se Bergoglio vorrà mantenere un minimo di credibilità - la conferenza stampa alla stampa estera farà sì che i giornali di mezzo mondo racconteranno quanto accaduto - deve intervenire e di brutto... perchè in questo momento anche la sua immagine ne sta andando di mezzo, ammesso che di questa storiaccia sia vittima e non artefice.