"Ritroviamoci in Arena il 18 maggio mattina, vigilia di Pentecoste, nella speranza che lo Spirito di Vita torni a soffiare su tutte/i noi per cambiare questo Sistema di morte. In piedi, costruttori di pace!" (Alex Zanotelli, edit. Mosaico di pace - Maggio 24)

L'invito è stato accolto, perché l'Arena di Verona era stracolma di gente per l'incontro "Arena di Pace - Giustizia e Pace si baceranno", in cui papa Francesco ha risposto alle domande che in precedenza gli erano state presentate, che facevano da guida al tema dell'incontro.

Di seguito sono riportate alcune delle considerazioni del pontefice:

Sto guardando quel cartello: “Smilitarizziamo mente e territori”. Stiamo parlando di pace, ma voi sapete che le azioni che in alcuni Paesi sono più redditizie sono quelle delle fabbriche delle armi? È brutto questo, è brutto. E così non possiamo smilitarizzare, perché è un affare molto grande. Voi guardate l’elenco dei Paesi che fabbricano le armi, e vedete un po’ che bell’affare è quello. Preparare per la morte. 

La pace non si inventa da un giorno all’altro. La pace va curata. Se noi non curiamo la pace ci sarà la guerra, piccole guerre, grandi guerre. La pace va curata, e oggi nel mondo c’è questo peccato grave: non curare la pace! Il mondo è in corsa, occorrerebbe a volte saper rallentare la corsa e non lasciarci travolgere dalle attività e fare spazio dentro di noi all’azione di Dio, all’azione dei fratelli, all’azione della società che cerca il bene comune.

“Rallentare” può suonare come una parola fuori posto, in realtà è l’invito a ricalibrare le nostre attese e le nostre azioni. Si tratta di fare una “rivoluzione” in senso astronomico: andare a cercare la pace, e come si fa questo? Sempre con il dialogo: la pace si fa nel dialogo. Riconoscere gli altri, rispettarli con saggezza. La sfida enorme che abbiamo davanti è quella di andare controcorrente per riscoprire e custodire contesti in cui tutto ciò sia possibile viverlo con gli altri. E non dobbiamo inventare tutto da zero, dobbiamo farci carico della storia.

Tante volte le guerre vengono dall’impazienza di fare presto le cose e non avere quella pazienza di costruire la pace, lentamente, con il dialogo. 

Spesso siamo tentati di pensare che la soluzione per uscire dai conflitti e dalle tensioni sia quella della loro rimozione. No! Li ignoro, li nascondo, li marginalizzo. No. Questa è una bomba a orologeria. Così facendo amputo la realtà di un pezzo scomodo ma anche importante. Sappiamo che l’esito finale di questo modo di vivere i conflitti è quello di accrescere le ingiustizie e generare reazioni di malessere, di frustrazione, che possono tradursi anche in gesti violenti. E questo lo vediamo anche nella politica, nella società. Quando nella politica, qualsiasi politica, si nascondono i conflitti, questi scoppiano dopo, e scoppiano male. Non c’è l’armonia. Né in famiglia né nella società si possono nascondere i conflitti. Per questo, quando ci sono problemi in famiglia, dobbiamo parlarne per chiarirli. E quando ci sono problemi nella società, dobbiamo condividerli per risolverli. Ma da soli non si esce.

Un’altra risposta dal fiato corto è quella di cercare di risolvere le tensioni facendo prevalere uno dei poli in gioco, e questo è suicidio, perché si riduce la pluralità di posizioni a un’unica prospettiva. Oggi il Vescovo mi ha fatto vedere l’atto di nascita di un grande, Romano Guardini, che è nato qui a Verona. Lui diceva che sempre i conflitti si risolvono su un piano superiore, perché così i conflitti si trasformano in lievito di nuova cultura, di nuove cose per andare avanti. L’uniformità è un vicolo cieco: invece di andare avanti si va sotto; l’uniformità non serve, serve l’unità, e per raggiungere l’unità bisogna lavorare con i conflitti. Quando si ha paura nei confronti della pluralità, possiamo dire che quella famiglia, quella società psicologicamente e culturalmente si suicida.

Queste, invece, le parole con cui il Papa ha concluso l'incontro:

Abbiamo ascoltato le donne. E il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace. Sono le mamme.Le testimonianze di queste coraggiose costruttrici di ponti fra israeliani e palestinesi ce lo confermano.Sono sempre più convinto che «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli – i popoli! –; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento» (Discorso al II Incontro mondiale dei movimenti popolari, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015). Il popolo deve avere coscienza di sé stesso e agire come popolo, agire con questa volontà di fare pace.Voi, però, tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa, per favore, chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non dalle ideologie. Ricordiamo che le ideologie non hanno piedi per camminare, non hanno mani per curare le ferite, non hanno occhi per vedere le sofferenze dell’altro. La pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti, insieme tutti.La pace non sarà mai frutto della diffidenza, frutto dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri. San Paolo dice: «Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato» (Gal 6,7). Fratelli e sorelle, le nostre civiltà in questo momento stanno seminando, distruzione, paura. Seminiamo, fratelli e sorelle, speranza! Siamo seminatori di speranza! Ognuno cerchi il modo di farlo, ma seminatori di speranza, sempre. È quello che state facendo anche voi, in questa Arena di Pace: seminare speranza. Non smettete. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta “inevitabile”. No, spettatori di una guerra cosiddetta inevitabile, no. Come diceva il vescovo Tonino Bello: “In piedi tutti, costruttori di pace!”. Tutti insieme. Grazie.



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