Proseguiamo la disamina sui mezzi di protesta occupandoci per prima cosa dello strumento principale: la Giustizia.

Il ricorso alla Giustizia è via maestra e mezzo di protesta molto flessibile, perché consente anche al singolo di ottenere soddisfazione vedendosi riconosciuti i propri diritti; e inoltre consente di potersi organizzare in gruppi di esperti e leader a beneficio delle masse (similmente alle “class action”) che singolarmente non avrebbero la capacità di ottenere quella stessa soddisfazione.

L’accesso individuale continua a presentarsi complicato, perché si va incontro a quell’ostacolo che lo Stato non ha ancora voluto risolvere. Ce lo ricorda Calamandrei: «"La legge è uguale per tutti" è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l'aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria» (in “Processo e Democrazia” – Padova, Cedam 1954).

Riporto spesso questa riflessione di Calamandrei per illuminare l’intricato tema del Diritto è della sua complessità, talvolta abusata, che richiede comunque l’assistenza di professionisti della materia e del ramo specifico. Le parcelle di avvocati e consulenti rappresentano spesso ostacoli insormontabili, anche solo per valutare l’opportunità di intraprendere un percorso legale. Il lavoratore, la piccola partita IVA, i disoccupati, sono tutti soggetti deboli che possono al massimo usufruire di strumenti assolutamente inadeguati e limitati come il gratuito patrocinio, l’assistenza legale presso i CAF, e così via. Nulla di lontanamente paragonabile alla qualità dell’assistenza legale che può permettersi il ricco imprenditore, o possidente che sia.

Se poi osserviamo anche il manifesto squilibrio di forze tra Stato (convenuto) e cittadino (attore), le questioni si complicano ulteriormente. Non è una lotta tra soggetti giuridici privati, ma tra il cittadino che vorrebbe veder riconosciuti i propri diritti da uno Stato giuridicamente autocrate che lo opprime e scoraggia anche in termini di costi vivi, e pesanti mazzate in caso di soccombenza (si pensi alle sole spese per avviare gli atti introduttivi in giustizia amministrativa).

Squilibri e disuguaglianze sociali di tutta evidenza! Al più, li può superare una piccola percentuale di persone, indipendentemente dal loro status economico. Ma è davvero piccola e spesso ascrivibile ai soli “topi di biblioteca”, amanti della cultura a 360 gradi, quindi in grado di appropriarsi in poco tempo di materie anche molto distanti dai loro studi abituali. In questi rarissimi casi si è perfettamente in grado di fare ogni valutazione legale preliminare financo al confezionamento degli atti di causa, limitando le figure professionali di avvocati e consulenti alla benedizione finale e rappresentanza obbligatoria, anche per ovvie necessità di rito e prassi che sono questioni più “burocratiche” e utili a far funzionare “speditamente” la (già pachidermica) macchina giudiziaria.

Perché ne parlo se si tratta di evenienze piuttosto rare?
Perché non dovrebbero essere affatto rare!

Magari non fino a diventare “topi di biblioteca”, ma se mi leggete sapete come la penso in tema di cultura e in special modo conoscenza del Diritto, imprescindibile per essere cittadini consapevoli in tutte le direzioni. Diventarlo, oggi, è gratuito e facile: serve solo volontà e rubacchiare un po’ di tempo alle cospicue attività che vengono dedicate all’intrattenimento. Allenare la mente è come allenare qualunque altro muscolo del corpo; io non sono più un ragazzino, e dopo quasi 30 anni di sedentarietà tossica riuscivo a malapena a sollevare 60 kg su panca piana. Oggi il mio prudente massimale di ripetizione è 104 kg (in barba alla sarcopenia). E così è la vostra mente. Allenatela (in barba al declino cognitivo naturale).

Il mezzo di protesta giudiziale è per fortuna molto versatile, come dicevano. Quindi, al di là delle limitazioni economiche o intellettuali, ci permette comunque di organizzare gruppi di tutela e azione collettiva. Un esempio sono le associazioni di consumatori. Qualcosa con loro funziona, ma sono spesso troppo generaliste e talvolta ideologiche o politicizzate. L’ideale è concentrarsi su un tema preciso, magari del momento; nessuno pensa più ai “comitati” che normalmente nascono attorno a problemi specifici e muoiono dopo la loro definitiva soluzione. Non diventano associazioni infinite che si trasformano in macchine speculative o comitati d’affari (come sono diventati perfino gli ordini professionali).

Che sia un individuo capace (ma varrà solo per sé), o un comitato che si organizza (portando a risultati più ampi e collettivi), si possono così produrre istanze di estrema incisività politica. Perché gravando i tribunali con casi che veicolano anche questioni pregnanti e magari di interesse costituzionale (e v’è l’imbarazzo della scelta), le chances di ottenere successo sono piuttosto elevate.

Per fare un esempio su cronache recenti, chi dovrà subire tagli e limiti al reddito di cittadinanza, ovvero futuro “Mia”, potrebbe organizzarsi cercando di costituire gruppi di studio e riunire esperti disposti ad aiutarli. Esisterebbe molta materia interessante in Diritto nazionale e comunitario, sul duplice binario tra mancate attuazioni e disparità di trattamento, che producono anche violazioni costituzionali. E allo stesso modo per il salario minimo, propugnato da taluni e balbettato ultimamente da altri.

Dove la politica non vuole arrivare, ecco che la protesta legale per la lesione dei propri diritti fondamentali di cittadini può provocare anche veri e propri terremoti mediatici (e potenziali risultati). Senza contare la propensione delle opposizioni a cavalcare immediatamente le proteste sensate e organizzate per farne propri cavalli di battaglia, e laddove esistono anche pregevoli argomenti di diritto si suscita una letterale “acquolina in bocca”.

A tal proposito, intendiamoci anche su un altro aspetto. In quasi tutti i casi in cui i politici argomentano temi di equità sociale, saprebbero benissimo come modellare tali argomenti su questioni di diritto e produrne vere e proprie istanze giudiziali. Ma oltre a non esserci spesso un vero interesse oltre le parole (retorica e demagogia) la politica tende per sua natura - correttamente - a non invadere il campo di un altro potere, come quello giudiziale che è giustamente separato da quello politico. Sebbene questo si presenti talvolta aberrante o frainteso, perché limita (e fa gioco) anche sulle questioni Costituzionali, esiste comunque tale comportamento evasivo consolidato.

Se l’iniziativa è del cittadino organizzato, le cose cambiano. Al più ci si può chiedere perché il cittadino non viene edotto e organizzato dalla stessa parte politica paladina di un certo tema. Ma a farsi troppe domande minuziose e granulari (e spesso superflue), si finisce per non agire mai!

Il ricorso alla giustizia va visto anche come un mezzo a volte propedeutico, e altre volte coadiuvante, ad altre forme di protesta. Nella terza e ultima parte parleremo del secondo rimedio, atto a creare disagi civili pacifici, di diverso genere e costituzionalmente garantiti, giungendo eventualmente anche alla disobbedienza civile.

continua...