Concludiamo questa breve ricognizione sui “cittadini che protestano” parlando infine di comunicazione: la forma più efficace di protesta. Anche l’uso della Giustizia, di cui abbiamo parlato nello scorso articolo, è una forma di comunicazione. Lo è tutto, in realtà. Ma le cose di cui ci occupiamo adesso hanno il pregio di essere molto più dirette e immediate nella percezione.

Comunicare vuol dire far giungere a qualcuno una volontà precisa e indurlo a compiere un’azione altrettanto precisa. Usata smodatamente nel mercato consumistico: «Voglio vendere, perciò tu devi acquistare!». Non esiste nessuna forma di comunicazione “asettica”, ossia fine all’annunciare un pensiero senza quantomeno influenzarne la sua applicazione; e questo per il semplice fatto che non abbiamo mai inventato - e probabilmente è impossibile farlo - una forma di linguaggio (verbale, corporeo, comportamentale, etc.) che non sia assertiva.

Ciò avviene perfino quando si descrive semplicemente qualcosa, poiché parte da una propria percezione e viene trasferita per essere eventualmente accettata da chi la riceve. Se foste interessati ad approfondire gli aspetti linguisitici, scientifici e filosofici della comunicazione, vi consiglierei senz’altro verso uno dei più illuminati esperti del nostro tempo: Noam Chomsky.

Questa premessa dovrebbe condurci a realizzare un fatto attualmente innegabile: la comunicazione è mezzo idoneo a trasferire la propria volontà. Dunque bisogna comunicare; starsene a casa o rimuginare parole a caso con taluni è del tutto infruttuoso e psicologicamente distruttivo. Ma dall’essere “mezzo idoneo” al diventare anche “efficace”, nella comunicazione si pone l’universo degli studi psicologici e comportamentali del proprio target. E’ in dipendenza di quest’ultimo che si stabilisce il linguaggio da utilizzare e il volume della comunicazione (diffusione, tempo, persistenza, etc.).

Il target dei cittadini che protestano su qualcosa sono indubbiamente i politici al governo, o in generale. Non lo Stato! Facciamo attenzione anche a questa apparente sottigliezza.

Conoscere come far arrivare una ferrea volontà ai politici, e indurli a un’azione che onori lo Stato, consta di due vie: una efficace, che presuppone l’approccio scientifico dello studio del linguaggio e del volume della comunicazione; l’altra fallimentare e distruttiva per tutti, usando la forza bruta. Non sempre la forza bruta è metodo sbagliato; se prendiamo ad esempio la pubblicità martellante dei siti web che fa sbucare banner e video da ogni dove sulle pagine, inducendo a click anche per errore, tale approccio risulta comunque vincente. Porta risultati perché il target si lamenta ma comunque tollera.

Sebbene la forza bruta (di cui l’aspetto più soft è il “viralismo”) sia ammissibile in determinati contesti della comunicazione, si badi comunque che l’approccio scientifico risulterebbe sempre più efficace e redditizio in qualunque contesto. Quindi la “forza bruta” è da considerare come il mezzo di chi prova a scegliere la via più breve, ma sempre rischiosa e di risultato ben più modesto, nella migliore delle ipotesi.

Nella protesta civile, immaginando ad esempio un linguaggio bruto in proteste di piazza, non porterebbe risultati apprezzabili perché genera disordini e violenze fornendo infiniti alibi al target politico che si tenta di sollecitare, oltre ai legittimi interventi di repressione. Inoltre, il volume disordinato, a singhiozzo, magari presente negli anni ma determinato da lunghi stati di quiete, non lo rende idoneo come disagio persistente ma come “eventi sporadici” che per natura umana si archiviano presto nel limbo dei ricordi. Infine risulta eticamente inaccettabile, oltreché stupido, in quanto colpisce nel mucchio anche i beni privati e le vite di malcapitati che magari perseguirebbero i medesimi interessi.

Non è una guerra civile, ci mancherebbe. E non potendo esistere una “violenza di mezzo”, o moderata che dir si voglia, è sciocco pensare di poter risolvere i problemi in questo modo. La storia è piena di eventi di protesta bruta che hanno solo generato lacrime. Una non migliore sorte la stanno subendo i francesi, che farebbero bene a moderarsi e sfruttare le loro capacità organizzative con approccio scientifico di linguaggio e volume (pacifico ed efficace!).

L’efficacia del linguaggio, che sia di piazza, tramite flash mob costanti e diffusi, attraverso internet (reti social, ad esempio), ricorrendo allo sciopero, all’occupazione scolastica, dipende anzitutto dal rispetto delle norme che danno diritto alla protesta, la quale è manifestazione di dissenso costituzionalmente garantita. Qui, tra i sistemi elencati (in futuro li tratterò con ampiezza e singolarmente), si pensi ad esempio all’occupazione scolastica, che ormai in giurisprudenza ha determinato un “diritto vivente” favorevole agli studenti ma pur sempre con dei rischi. Un mezzo atipico, ma se ben fatto e organizzato, evitando anche l’interruzione del servizio, può essere anch’esso convincente.

Trattando infine il volume, approdiamo alla questione più complessa e spinosa che attiene alla volontà e alla costanza. Per esempio, dovrebbe essere intuitivo che una manifestazione di piazza fatta due o tre volte l’anno per reclamare il salario minimo è solo una gran perdita di tempo! Anche se si riversano in piazza migliaia di persone, tale “volume” non ha nulla a che vedere con il volume di cui stiamo parlando, che è un insieme di cose atte a causare attenzione persistente su un dato problema.

L’ormai famosa Greta Thunberg può essere un buon esempio per capire quale tipo di stillicidio si deve creare per attrarre costante attenzione. Non ci interessa qui il messaggio ma la semplice azione iniziata in solitudine, con costanza e decisione, fino a creare attorno a sé un movimento che oggi determina un seguito planetario. Costanza e decisione! Questo è il volume nell’azione di protesta indirizzata ai target politici, che dunque non deve temere il tempo necessario né porsi domande su di esso.

Lo spazio è ridotto, quindi per ora devo rinunciare a sviluppare le ipotesi d’azione perseguendo ciascuno dei sistemi, magari in sinergia, tra quelli descritti come linguaggi e relativi volumi. Ma lo farò certamente in futuro.

Avevo anche promesso di fare cenno al sistema di disobbedienza civile teorizzato da Henry David Thoreau, al quale si sono ispirati personaggi come Gandhi e Martin Luther King. Questo rimedio è molto efficace e al contempo complesso. Presuppone la violazione di norme di Diritto come non pagare le tasse o altre forme similari (in Italia Marco Pannella ne fece uso per reclamare la liberalizzazione delle droghe leggere, senza molto seguito). Il presupposto è sempre la non violenza, la dichiarazione pubblica di ciò che si sta facendo, e non opporre resistenza alle forze dell’ordine.

Per la portata “scandalistica” delle proteste ancorate alla disobbedienza civile, atte a rompere gli schemi del “buon cittadino” ligio alle norme ma spesso ipocrita e lamentoso su quelle stesse norme, si tratta di un sistema molto efficace. Quelle norme di uno Stato, effetto di azioni politiche malsane e contrarie all’etica, che creano ampie sacche di disuguaglianza e iniquità sociali, vanno indubbiamente disobbedite.

Un esempio può essere proprio quello dell’astensione sul pagamento di tasse e tributi, il cui presupposto di calcolo origina da una politica fiscale/impositiva che favorisce l’accumulo indiscriminato di ricchezza, andando così a prelevare sempre sui redditi più bassi e al contempo più numerosi. Ma per addivenire a un’eventualità del genere occorre prima essere precisi e rigorosi nell’argomentare e documentare la reale esistenza del problema, contrastando la norma politica in maniera incontestabile. Deve, insomma, vivere solo la denuncia dell’iniquità e far perdere qualunque pregio alla norma che si viola con tale denuncia.

Non è ammissibile protestare contro una qualsiasi norma per il solo fatto che non piace! Perché magari lede il proprio orticello. Deve essere oggettivamente sbagliata e ledere interessi erga omnes.

Queste puntualizzazioni sono importanti, poiché non parliamo di “disobbedire” a regimi oppressivi e schiavitù conclamate, ma a scelte politiche che non vorrebbero (almeno a parole) creare disuguaglianze e iniquità. Anzi, a dire di chi le promuove dovrebbero migliorare le cose. Vanno dunque opposti argomenti efficaci a dimostrare che le cose non potranno mai migliorare, e che invece molte persone patiscono o patiranno danni potenzialmente irreversibili. Purtroppo, in Italia oggi è anche troppo facile (lo sottolineo amaramente!) approdare a queste dimostrazioni, come altrettanto facilmente discenderebbe la conseguente disobbedienza come legittimo rimedio.

Questa parte è stata più lunga del previsto. Per ora fermiamoci qui.



📸 base foto: Niek Verlaan da Pixabay