Oltre 1,5 milioni di italiani sono già senza medico di base: non è un numero ipotetico, è la cruda fotografia di oggi. Nel giro di tre anni altri 35 000 camici bianchi lasceranno la professione (pensionamenti e dimissioni), mentre il 77 % di chi è ancora al lavoro ha più di 54 anni. È un’emorragia annunciata che sta mandando in tilt il primo presidio sanitario del Paese.
Metà dei medici di famiglia gestisce oltre 1 500 pazienti ciascuno: ambulatori stracolmi, telefonate inevase, burocrazia a valanga. Il burnout non è un rischio ma la normalità quotidiana, con ricadute dirette su diagnosi, prevenzione e presa in carico dei cronici. La medicina di famiglia è diventata il “front office” di tutto ciò che non funziona altrove nel SSN.
I bandi regionali per la Scuola di Medicina Generale segnano borse scoperte sopra il 15 % in molte Regioni. Gli under‑35 scappano prima ancora di entrare: stipendi bassi, nessuna prospettiva di carriera, turni ingestibili. Il paventato passaggio da convenzione a dipendenza? Un limbo legislativo che blocca ogni scelta.
Nel Friuli Venezia Giulia ad aprile si sono aperte 404 zone carenti (in medicina generale e continuità assistenziale): solo 22 domande. Una débâcle che fotografa la perdita totale di attrattività della professione. «Il lavoro del medico di famiglia è ormai insostenibile», denuncia Fernando Agrusti (Fimmg FVG). «Anche chi accetta, spesso molla dopo pochi mesi».
Mentre in Italia si discute, i giovani medici prendono un volo di sola andata per Germania, Svizzera, Francia o Regno Unito: stipendi più alti, burocrazia dimezzata, orari regolamentati. «Formiamo professionisti che poi perdiamo. È un doppio fallimento», attacca Augusto Pagani, presidente dell’Ordine dei Medici di Piacenza.
Nel Piacentino i pensionamenti a raffica e il flop dei nuovi ruoli obbligatori rischiano di lasciare interi comuni senza copertura. «È una sconfitta annunciata», avverte Nicola Arcelli (Snami). Gli fa eco Michele Argenti (Fimmg Piacenza): «Se non cambia la rotta, la rete territoriale crolla».
Cosa chiedono i sindacati:
- Retribuzioni dignitose e legate ai carichi reali.
- Flessibilità sui massimali per chi opera in aree critiche.
- Taglio secco alla burocrazia: meno scartoffie, più tempo per i pazienti.
- Misure di conciliazione vita‑lavoro (congedi, part‑time strutturati) per trattenere soprattutto le donne medico.
«Aumentare le borse senza garantire condizioni decenti è inutile», ribadisce Pagani. «La classe medica continuerà a voltare le spalle alla territorialità».
Se salta la medicina generale, salta il SSN: il medico di base è il filtro che evita ai Pronto Soccorso di esplodere, che monitora i cronici, che vaccina, che intercetta i tumori in fase precoce. Senza questo snodo, ospedali e specialisti si trasformano in barriere invalicabili, e i costi sociali (e umani) schizzano alle stelle.
Che fare (adesso, non domani):
- Piano straordinario quinquennale finanziato con fondi vincolati.
- Assunzione per via diretta in aree desertificate, con incentivi abitativi e fiscali.
- Digitalizzazione intelligente: telemedicina sì, ma affiancata da personale di supporto che gestisca la parte amministrativa.
- Campagna nazionale di reputazione: raccontare ai giovani che esiste un futuro sostenibile, se glielo si costruisce.
La verità è un macigno: senza un intervento rapido, entro il 2027 avremo intere province senza medico di famiglia. Chi se lo può permettere si rivolgerà al privato; gli altri resteranno semplicemente scoperti. È una voragine che divorerà il principio stesso di universalità del nostro Servizio Sanitario Nazionale.
La politica ha il dovere di agire, non di rimandare. Gli italiani hanno il diritto di pretendere risposte. E i medici, oggi più che mai, meritano di lavorare in condizioni che non sfigurino di fronte ai colleghi europei. Finché non si metterà mano a tutto questo, parlare di “rilancio del territorio” resterà soltanto uno slogan vuoto.