In Italia, da anni, grazie alla legge 194, è consentito alle donne che lo desiderano di interrompere la gravidanza. L'interruzione di gravidanza, per quanto riguarda il personale medico, non è obbligatoria, è prevista l'obiezione di coscienza.

Però, anche se i medici si possono rifiutare, è evidente che un servizio pubblico deve essere garantito, nei centri abilitati, in qualsiasi periodo dell'anno. Al San Camillo di Roma è stato fatto un bando per assumere 2 ginecologi che non fossero obiettori e, pertanto, disposti a praticare l'interruzione di gravidanza. 2 medici su oltre 2.200 operatori del settore, come ha ricordato il presidente della regione Lazio Zingaretti.

Eppure, immancabile, è scattata la polemica perché il bando sarebbe discriminatorio nei confronti dei medici obiettori. Una posizione alquanto curiosa, perché non spiega come sarebbe poi possibile applicare la legge 194 a chi ne facesse richiesta se in una struttura tutti i medici fossero obiettori.

Ma la CEI che ha sollevato la questione del bando discriminatorio non si è posta il problema. Questa, riportata di seguito, è la dichiarazione di don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, così come riportata dall'agenzia di stampa dei vescovi italiani: «[Il bando] snatura l’impianto della legge 194 che non aveva l’obiettivo d’indurre all’aborto ma prevenirlo. Predisporre medici appositamente a questo ruolo è un’indicazione chiara.

[In questo modo] non si rispetta un diritto di natura costituzionale qual è l’obiezione di coscienza. Il ministero della Salute ha condotto di recente un’indagine certificando che il numero di medici non obiettori risulta sufficiente per coprire ampiamente la domanda [d’interruzioni volontarie di gravidanza].

Tutto ciò fa molto dubitare sulla bontà del provvedimento.»

Il timore della CEI non è in relazione alla singola vicenda in sé, ma soprattutto al fatto che la  decisione - nella sua razionale banalità - possa essere presa d'esempio anche da altre strutture sanitarie.

Non poteva non entrare nella questione la ministra per la Salute e, ovviamente, non poteva non farlo se non dichiarandosi a favore della tesi della CEI. Queste le parole di Beatrice Lorenzin riprese dall'ANSA: «È evidente che abbiamo una legge, che non prevede questo tipo di selezione. Prevede invece la possibilità, qualora una struttura abbia problemi di fabbisogno, per quanto riguarda singoli specifici servizi, di poter chiedere alla regione di attingere anche in mobilità da altro personale.

Non bisogna esprimere pensieri, ma semplicemente rispettare la legge, in cui l'obiezione di coscienza è rispettata nel nostro Paese. Tra l'altro quando si fanno assunzioni e concorsi non mi risulta che ci siano parametri che vengono richiesti.»

Nella logica di Beatrice Lorenzin una donna che volesse abortire e si rivolgesse ad un ospedale il cui unico medico preposto all'intervento sia in ferie o in malattia, costei dovrebbe attendere che la regione tolga da un'altra struttura un medico abortista, sperando che sia disponibile, e lo trasferisca temporaneamente dove ce n'è bisogno.

Quando un ministro arriva a formulare certe tesi non c'è da meravigliarsi se la sanità in Italia non funzioni o non funzioni come dovrebbe.