«Il, 14 dicembre 2023, presenti p. Amedeo Cencini FCC come delegato pontificio e la sua collega sr. Marisa Adami SFF e p. Vittorio Papa OFM, è stato presentato il decreto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica alle suore della Comunità di Loyola giunte in arcidiocesi e a coloro che si sono collegati online.
Nel 2019, in occasione del 25° anniversario delle Costituzioni della Comunità di Loyola, l’arcivescovo di Lubiana, Stanislav Zore OFM, ha visitato la Comunità di Loyola. Al termine della visita, nel febbraio 2020, il competente dicastero romano è stato informato dei risultati.Dato che la Comunità di Loyola aveva la sua casa generalizia a Roma, il dicastero ha affidato la questione alla diocesi di Roma. È stato nominato un commissario che, dopo diversi colloqui con tutte le suore, ha scritto una relazione finale, che è stata inviata al dicastero nel settembre 2022 tramite la Nunziatura apostolica.Il 20 ottobre 2023 ha emesso un decreto di scioglimento della Comunità di Loyola a causa di gravi problemi riguardanti l’esercizio dell’autorità e della convivenza comunitaria. Il dicastero ha stabilito che il decreto dovrà essere attuato entro un anno. Siamo invitati a pregare per le suore e per tutti coloro che ad esse sono legati».

Così il comunicato della diocesi di Lubiana (Slovenia) informa di quanto è stato detto alla fondatrice (sr. Ivanka Hosta) e alla Comunità Loyola, formata da una quarantina di consacrate, e cioè la decisione del Dicastero per la vita consacrata di chiudere la Comunità.


In questione la Comunità (non Rupnik)

Fra le ragioni che si possono intuire sotto le parole: la spaccatura della comunità, i numerosi abusi di autorità, spirituali e di gestione della fondatrice, le gravi insufficienze delle Costituzioni che, ad esempio, non distinguono foro interno e foro esterno, non rispettano le libertà personali, indicano un modo d’obbedienza che include anche saper interpretare i desideri della fondatrice.

La comunicazione è stata data dai commissari, p. Amedeo Cencini, sr. Marisa Adami e p. Vittorio Papa. Secondo tradizione, al mattino è stata informata la fondatrice. Al pomeriggio, l’intera comunità. Prevedibili le resistenze della prima e le contrastanti reazioni delle consacrate, sulla cui spaccatura interna (pro e contro la fondatrice) è già stata data informazione sui media.

La decisione giunge al termine di un lungo percorso. Dapprima, è stato il vescovo locale (Lubiana), Stanislav Zore, a sospettare qualcosa e a stabilire una visita canonica. Sulla base del suo rapporto, il passo successivo è stata l’accurata visita di Libanori, vescovo ausiliare di Roma. La competenza romana è giustificata dalla presenza della casa generalizia in città.

Nell’indagine esce con frequenza il nome di p. Marko Rupnik che fra gli anni ’80 e ’90 accompagna la nascita della Comunità. Nei suoi confronti sono una decina le suore che denunciano comportamenti abusanti. Il 18 ottobre 2022, quando il caso del gesuita artista è da poco esploso, Libanori scrive:

«Le persone ferite e offese, che hanno visto la loro vita rovinata dal male patito e dal silenzio complice, hanno diritto di essere risarcite anche pubblicamente nella loro dignità, ora che tutto è venuto alla luce». Abbiamo «il dovere di un serio esame di coscienza e chi sa di avere delle responsabilità deve riconoscerle e chiedere umilmente perdono al mondo». Hanno e abbiamo diritto alla verità: «Cercarla è un preciso dovere. C’è la verità tremenda dei fatti contestati che impone alla Chiesa di assumere la propria responsabilità dichiarando senza ambiguità chi è la vittima e chi è l’aggressore e assumendo le misure necessarie perché il ministero della Chiesa non venga profanato per lo scandalo».


La lunga gestazione

Il rumore attorno al caso Rupnik sovrasta il giudizio molto severo sulla fondatrice e il suggerimento per la chiusura dell’Istituto. La decisione è presa a partire dalle questioni interne ed è indipendente dal caso Rupnik.

Dopo il rapporto di Libanori, il Dicastero per i religiosi si premura di sollevare sr. Hosta dall’incarico di superiora generale, la invita a trasferirsi lontano da Roma e dalla Slovenia (a Braga, in Portogallo), a dismettere ogni funzione di direzione e a coltivare una volta al mese un pellegrinaggio penitenziale a un santuario mariano.

Voci dall’interno fanno uscire irritazioni per le indicazioni disattese e per il ruolo ancora centrale di sr. Hosta. Nel sito portoghese 7 Margens esce una presentazione molto ampia del rapporto finale in cui mons. Libanori scrive che una lite fra sr. Hosta e Rupnik nel 1993 segna una cesura nella storia della famiglia religiosa. Hosta allontana Rupnik ma impone il silenzio ai suoi comportamenti impropri con alcune suore:

«La rimozione di padre Rupnik dalla Comunità nel 1993, invece di portare alla luce il comportamento del sacerdote e del sistema che lo aveva permesso, aumentò il sistema di controllo, dominio e omertà». La piegatura verso un governo interno personalistico e autoritario cancella molti degli spazi necessari di libertà. «Posso dire che questo atteggiamento di rispetto per il foro interno, per la sacralità della coscienza di ogni religioso, non solo non è stato rispettato…, ma è stato addirittura contraddetto in diverse occasioni e talora denigrato in pubblico».

La decisione della chiusura della Comunità è stata a lungo «silenziata» e trattenuta. Nel Dicastero vaticano non si voleva che venisse pubblicata prima della conclusione del caso Rupnik per non dare l’impressione di accanimento sulle «vittime». All’interno è, invece, stata percepita come un’incertezza che penalizzava il chiarimento definitivo.

L’annuncio della decisione non dovrebbe modificare i «fronti interni». Le suore che sostengono la fondatrice non accetteranno l’idea di una chiusura definitiva. Esse vorrebbero poter ripartire. Ma le nuove regole prevedono che l’eventuale vescovo favorevole abbia prima il consenso scritto del Dicastero vaticano. Le altre consacrate saluteranno la conclusione della vicenda come la fine di una faticosa traversata verso la verità e la libertà.


Originalità
La fondazione non è stata priva di originalità e fascino. Se il patrimonio spirituale e teologico faceva riferimento al deposito della tradizione gesuitica, dal punto di vista pratico si puntava su comunità di piccole dimensioni, distribuite in normali appartamenti, con la sollecitazione per un lavoro a cui ciascuna poteva prepararsi.

Questa impostazione consente ora di avere meno problemi per la collocazione delle consacrate nella vita di tutti. L’attuale distribuzione delle comunità è in Slovenia, Trieste e Roma, Portogallo, Africa, Brasile e Polonia.

Fonte: www.settimananews.it/vita-consacrata/comunita-loyola-si-chiude