Il recente duello presidenziale in Austria tra il candidato del Partito austriaco della libertà (FPÖ) Herbert Kickl e quello dei Verdi (Grunen), Alexander Van Der Bellen, è stata un’occasione ghiotta per i “giornalisti” per esibire la loro perversa capacità di mistificare attraverso il linguaggio. Invece di soffermarsi, prefiggendosi un minimo di oggettività sul programma e sulle idee dei due candidati, hanno sciorinato una serie di aggettivi-improperi per denigrare l’esponente del Partito della libertà. I pennivendoli usano il vocabolo “destra” come uno spauracchio per evocare antichi fantasmi, ma, non paghi di ciò, non lesinano epiteti come “xenofobo”, “razzista”, “ultranazionalista”, riferendoli ad una politica che è soltanto la difesa di precisi valori.

Che i rappresentanti del Partito austriaco della libertà siano in buona o cattiva fede, qui poco o punto importa: è l’impiego orientato, ideologico della lingua a scandalizzare. Tutelare quello che in tedesco si chiama Heimat, ossia “patria” in senso lato e profondo, è subito marchiato come “sciovinismo” ed “atteggiamento discriminatorio”. E’ un giudizio a priori, un pre-giudizio: nulla può essere più avventato e superficiale.

Chiediamoci allora se i Verdi austriaci (e quelli degli altri paesi) siano veramente degni di proclamarsi Verdi: sono ecologisti coloro che ripetono idiozie sui gas serra ed ignorano il problema ambientale per eccellenza, la biogeoingegneria assassina? Di verde resta solo l’ira funesta che ci assale quando sentiamo cianciare codesti imbroglioni.

Le parole possiedono i loro significati, ma i valori semantici oggidì sono sempre più spesso eclissati da risonanze emotive e da frodi concettuali, con lo scopo di indurre reazioni pavloviane.