Il referendum del 17 aprile  è stato vinto dal Sì che però, a sua volta, è stato sconfitto dal quorum. La percentuale dei votanti si è attestata sopra al 30% e non ha pertanto raggiunto la soglia della metà più uno richiesta dalla Costituzione per determinarne la validità. Solo nella regione Basilicata, il quorum è stato raggiunto.

Un risultato dato per scontato già in partenza per la scarsa comunicazione che al referendum è stata riservata, anche dalla tv pubblica, e per la campagna astensionistica messa in atto anche dal presidente del Consiglio Renzi che, in più occasioni, ha confuso il suo ruolo istituzionale con quello di segretario del Partito Democratico.

Anche in quel caso, la confusione di Renzi non è stata da meno, poiché la sua posizione per il No era in contrasto con quella dei Consigli regionali, quasi tutti del PD, che invece hanno proposto i requisiti referendari. E di questo è necessario ricordarsi.

Per chiarezza, questa è la sequenza dei fatti. I consigli di 9 regioni propongono sei quesiti referendari per regolare l'estrazione di gas e petrolio nei tratti di mare di loro pertinenza. Il Governo, nell'ultima legge di stabilità, interviene per correggere le problematiche sottolineate dai requisiti referendari, scegliendo di non dare soluzione solo al problema che è stato oggetto del referendum di ieri.

Una scelta peraltro illogica e incomprensibile, perché con la nuova norma del Governo, i gestori delle piattaforme non saranno più obbligati a mettere in sicurezza gli impianti una volta esauriti i giacimenti.

Il risultato della consultazione è stato subito trasformato da Matteo Renzi in un risultato politico, prima con un tweet in cui ha scritto "Risultati ottimi. I lavoratori hanno vinto, qualche consigliere regionale ha perso. Adesso al lavoro per un'Italia più forte #lavoltabuona" e poi con un video pubblicato sul sito del Governo.

Nel pieno della sua incipiente pinguedine, Matteo Renzi, con la sua particolare pronuncia che annuncia il lancio di qualche goccia di saliva, ha voluto precisare che "il risultato è stato netto anche se nei prossimi giorni assisteremo alla solita triste esibizione di politici vecchio stile che dichiarano di aver vinto anche quando perdono!"

Gli sconfitti, per Renzi, sono "quei pochi, pochissimi consiglieri regionali e qualche presidente di Regione che ha voluto cavalcare il referendum per esigenze personali, particolari, politiche."

In pratica, una questione tecnica, è stata trasformata da Renzi in una questione politica sulla sua persona, sul suo ruolo di premier e su quello di segretario di partito. Ma le menzogne non finiscono qua. Infatti, Renzi ha pure avuto il coraggio di dire che la vittoria del No ha salvato 11.000 posti di lavoro (ne erano a rischio solo 70) e che il costo della consultazione di oltre 300 milioni è da attribuire a chi ha voluto il referendum, quando invece quei soldi potevano essere risparmiati facendo coincidere la consultazione con le prossime amministrative!

La distorsione dei fatti è ormai diventata tanto spudorata nella narrativa di Renzi e dei suoi sodali, da far ritenere che il presidente segretario abbia così timore del proprio futuro politico, tanto da non aver più alcuna accortezza nel diffondere falsità.