Il rapporto della CGIA di questo weekend rivolge l'attenzione sui licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo che nel settore privato hanno registrato, nel 2016, una crescita percentuale del 26,5 per cento rispetto all'anno precedente, facendo registrare un andamento del tutto anomalo rispetto alle altre tipologie di licenziamento.

Questa è la spiegazione che la CGIA fornisce del fenomeno che, nell’ultimo anno, ha interessato 74.600 lavoratori.

Con l’introduzione della riforma Fornero, dal 2013 chi viene licenziato ha diritto all’ASpI (indennità mensile di disoccupazione): una misura di sostegno al reddito con una durata massima di 2 anni. Il datore di lavoro che licenzia un dipendente deve versare all’Inps una somma pari al 41 per cento del massimale mensile della NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale maturata negli ultimi 3 anni. Per una persona con un’anzianità lavorativa di almeno 3 anni, l'importo a carico dell’azienda può sfiorare i 1.500 euro.

Quindi, come spiega il segretario della CGIA Renato Mason, «se un'impresa contribuisce ad aumentare il numero dei disoccupati provoca dei costi sociali che in parte deve sostenere. Negli ultimi tempi, però, la questione ha assunto i contorni di un raggiro a carico di moltissime aziende e anche dello Stato, perché un numero sempre più crescente di dipendenti non rispetta la norma e costringe gli imprenditori al licenziamento e, di conseguenza, fa scattare la Nuova ASpI (NASpI) in maniera impropria.»

Nel primo trimestre di quest’anno si registra un incremento del +14,7 per cento sul primo trimestre del 2016 relativo ai licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Negli ultimi tempi, accade che i dipendenti non si rechino più al lavoro senza dare alcuna comunicazione al proprio titolare. Poiché da marzo 2016 è stata introdotta l’obbligatorietà delle dimissioni on-line, se il dipendente smette di recarsi al lavoro senza comunicarlo telematicamente, l’interruzione del rapporto la deve avviare il datore di lavoro attraverso il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.

Grazie alla legge Fornero, questa procedura implica che il lavoratore riceva comunque la NASpI, misura che non gli spetterebbe, invece, nel caso in cui le dimissioni fossero volontarie.

"L'espediente – secondo la CGIA - sta creando un danno economico non indifferente. Non solo perché costringe il titolare dell’azienda a versare la tassa di licenziamento che, come dicevamo, può arrivare fino a 1.500 euro, ma anche alla collettività che deve farsi carico del costo della NASpI. Se quest’ultima viene erogata per tutti i 2 anni previsti dalla legge Fornero, il costo complessivo per le casse dell’Inps può arrivare fino a 20.000 euro a lavoratore."

Quello che la CGIA non dice e non ci fa sapere, forse per non dare suggerimenti, è l'età di coloro che fanno ricorso a questo espediente. Infatti, considerando che non è poi così facile trovare lavori stabili e correttamente retribuiti, è difficile pensare che un dipendente possa utilizzare questo "stratagemma" per starsene a casa per un paio d'anni con la probabilità di non riuscire poi a trovare un altro lavoro minimamente decente!

Invece, se ad un dipendente mancassero un paio d'anni per maturare la pensione, lo stratagemma risulterebbe il metodo perfetto per anticiparla! Ma forse è meglio non dirlo chiaramente per non far incrementare il fenomeno, che non aiuta le imprese... anche quelle iscritte alla CGIA.