Nella consueta udienza del mercoledì, questa mattina Papa Francesco ha tratto la sua catechesi da un passo del vangelo di Matteo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. […] Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita».

Francesco si è rivolto ai presenti utilizzando gli imperativi nel testo dell'evangesista come capitoli del suo discorso: «venite a me», «prendete il mio giogo», «imparate da me». Conversione e salvezza, questo è ciò che Matteo voleva sottolineare con le prime due esortazioni pronunciate da Gesù. Più interessante, però, è soffermarsi sul terzo punto della catechesi.

Bergoglio dice che «ai suoi discepoli, Gesù prospetta un cammino di conoscenza e di imitazione. Gesù non è un maestro che con severità impone ad altri dei pesi che lui non porta: questa era l’accusa che faceva ai dottori della legge. Egli si rivolge agli umili, ai piccoli, ai poveri, ai bisognosi perché Lui stesso si è fatto piccolo e umile. Comprende i poveri e i sofferenti perché Lui stesso è povero e provato dai dolori. Per salvare l’umanità Gesù non ha percorso una strada facile; al contrario, il suo cammino è stato doloroso e difficile. [...]

Per il discepolo, dunque, ricevere il giogo di Gesù significa ricevere la sua rivelazione e accoglierla: in Lui la misericordia di Dio si è fatta carico delle povertà degli uomini, donando così a tutti la possibilità della salvezza. [...]

[Gesù] era un pastore tra la gente, tra i poveri: lavorava tutto il giorno con loro. Gesù non era un principe. È brutto per la Chiesa quando i pastori diventano principi, lontani dalla gente, lontani dai più poveri: quello non è lo spirito di Gesù. Questi pastori Gesù rimproverava, e di loro Gesù diceva alla gente: “fate quello che loro dicono, ma non quello che fanno”.»

Che le intenzioni del Papa siano più che buone e sincere è inutile sottolinearlo, però è difficile che queste parole non possano non sollevare, se non polemiche, almeno qualche perplessità.

Infatti, per anni la Chiesa ha usato e abusato della parola principe, e coloro che principi si sono sentiti e che da principi si sono comportati hanno anche imposto i loro insegnamenti nella catechesi, come indicazioni che i fedeli dovevano seguire per essere considerati veri cristiani prima e bravi cattolici poi!

E inoltre come dobbiamo far coincidere le indicazioni di Gesù sulla povertà, quando le parole del Papa sono pronunciate nello splendore dello scenario architettonico di Piazza San Pietro e dei palazzi del Vaticano, che rappresenta una chiesa che in passato è stata e nel presente continua ad essere Stato?

«Tenere fisso lo sguardo sul Figlio di Dio - ha aggiunto Francesco - ci fa capire quanta strada dobbiamo ancora fare; ma al tempo stesso ci infonde la gioia di sapere che stiamo camminando con Lui e non siamo mai soli. Coraggio, dunque, coraggio! Non lasciamoci togliere la gioia di essere discepoli del Signore.»

Evviva alla speranza di Francesco, ma lo sguardo sui beni della Chiesa continua a lasciare perplessità, come ancora perplessità ci lasciano questi insegnamenti assolutamente giusti e dovuti, ma che finiscono per essere oggettivamente in contrasto con ciò che la Chiesa, intesa come gerarchia e non come comunità di fedeli, ancora rappresenta.

Può Papa Francesco essere più chiaro e coerente anche in relazione a queste evidenti incongruenze? Lo chiedono i poveri e lo chiedono i fedeli... anche per sapere come debbano comportarsi per essere, oggi, bravi cristiani e bravi cattolici.