Nel commemorare Papa Francesco, non possiamo dimenticare le sue parole forti e spesso scomode, rivolte sia alla Chiesa che ai potenti della Terra. “Date a Dio quel che è di Dio, e a Cesare quel che è di Cesare”: un monito eterno, che oggi risuona ancora, ricordandoci la necessità di distinguere la fede dalla strumentalizzazione, la spiritualità dal potere. In un mondo in cui certi personaggi politici e mediali si affrettano a ricordare quanto fosse "buono" il Papa, la realtà è ben diversa.

Netanyahu, per quanto controverso e criticabile per le sue politiche, è forse l'unico capo di governo che si è sottratto all'ipocrisia del “salto sul carro funebre”, evitando di partecipare ai rituali di omaggio funebre. Questo lo rende, se non altro, il meno ipocrita tra coloro che oggi si affrettano a celebrarlo. Quanto agli altri, che oggi sgomitano sui social e quasi tutti sfileranno ai funerali in San Pietro per ricordare quanto il Papa fosse buono e quindi amico loro, possiamo solo immaginare le risate che si farà lui lassù con gli altri santi.

Di quei sepolcri imbiancati, Trump è il caso più caricaturale: non tanto per la sua biografia, che pare fatta apposta per non piacere a Bergoglio, ma per il disprezzo anticristiano che manifesta in ogni frase e smorfia quando parla di un ultimo della Terra.

Putin, che non sarà a Roma per non essere arrestato, è un altro campione di doppiezza. Mentre ricorda che Francesco era amico dei russi, dimentica che era contro le guerre e le repressioni, incluse le sue.

Milei, argentino come il Papa, ha la faccia tosta di rimpiangerne la "bontà e saggezza", nonostante avesse definito Francesco “figlio di puttana che predica il comunismo”, “gesuita affine a comunisti assassini”, e “imbecille che fa politiche ecclesiali di merda”.

Zelensky finge di scordarsi quando il Papa gli espose il suo piano di pace e lui lo gelò sprezzante. Le parole di Francesco, che cercavano una via di mediazione e dialogo, sono state ignorate a favore della logica della vittoria a ogni costo.

Giorgia Meloni, pur in sintonia con il Papa su temi come l’eutanasia, il gender e la maternità surrogata, ha preso distanze sulla questione della guerra e del riarmo.

Lo stesso Mattarella, mentre Francesco criticava il manicheismo tra Bene e Male nella guerra in Ucraina, continua a paragonare la Russia al Terzo Reich, avallando il riarmo per Kiev.

A tutti gli 𝐢𝐩𝐨𝐜𝐫𝐢𝐭𝐢 che oggi cercano di accaparrarsi una parte del messaggio di Bergoglio, scegliendo solo ciò che fa comodo, va ricordato chi è stato davvero Papa Francesco. 𝐍𝐨𝐧 𝐞𝐫𝐚 𝐮𝐧 𝐮𝐨𝐦𝐨 𝐝𝐢 𝐞𝐪𝐮𝐢𝐥𝐢𝐛𝐫𝐢 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐨𝐥𝐚𝐭𝐢: era il Vangelo messo in pratica, voce ostinata contro l’ingiustizia, il potere che esclude, il benessere costruito sulla pelle degli ultimi.
Si è battuto per i poveri considerati colpevoli della loro condizione, per i migranti respinti, per la dignità del lavoro, per l’ambiente devastato, per chi vive ai margini. Ha denunciato guerre, corruzione, avidità, e non ha avuto paura di puntare il dito anche contro la Chiesa stessa, parlando della piaga della pedofilia con coraggio e chiarezza. Ha guardato alle donne con occhi nuovi, e ha scelto di non giudicare l’omosessualità, cercando invece la via dell’inclusione e dell’ascolto.
𝑈𝑛 𝑝𝑎𝑠𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑙’𝑜𝑑𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑝𝑒𝑐𝑜𝑟𝑒, come lui stesso amava definirsi, Papa Francesco ha scelto di stare dove spesso nessuno guarda: nelle periferie dell’anima e del mondo, tra gli ultimi, nei borghi dimenticati, nelle carceri, negli ospedali, nei centri per rifugiati, nei mari che hanno inghiottito troppi corpi migranti.
𝐍𝐨𝐧 𝐡𝐚 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐫𝐞, 𝐦𝐚 𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐬𝐬𝐢𝐦𝐢𝐭𝐚̀. Non ha parlato ai salotti, ma alle strade. La sua voce è risuonata laddove il dolore non fa notizia: tra i poveri, i dimenticati, le vittime dell’ipocrisia sociale e religiosa. Ha chiesto alla Chiesa di 𝐬𝐩𝐨𝐫𝐜𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐥𝐞 𝐦𝐚𝐧𝐢, di 𝐟𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐜𝐚𝐫𝐧𝐞 𝐯𝐢𝐯𝐚, di scendere dal trono e camminare accanto a chi soffre.
E per questo, è stato anche osteggiato, frainteso, deriso. Ma non ha mai smesso di essere fedele al Vangelo, fino all’ultimo respiro.
Eppure, per anni, è stato trattato con fastidio e sarcasmo da una certa parte della politica e della stampa — italiana e internazionale — che lo considerava troppo "popolare", troppo diretto, troppo poco conforme ai cerimoniali. Alcuni giornalisti, anche autorevoli, ne hanno ridicolizzato le parole, il tono, perfino i gesti di semplicità, come se la sua autenticità fosse un difetto.
𝐍𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐮𝐧 𝐩𝐚𝐩𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐨𝐝𝐨. È stato un papa scomodo, perché ci ha ricordato ciò che troppo spesso preferiamo dimenticare. E proprio per questo la sua eredità merita rispetto, non strumentalizzazioni.