«Se muoio per altri cento, rinasco altre cento volte: Dio è con me e io non ho paura!» 

Giorgia Meloni, il 23 settembre, "per non dimenticare un Eroe italiano", ha commemorato Salvo D'Acquisto, il carabiniere che il 23 settembre 1943 si sacrificò per salvare un gruppo di civili durante un rastrellamento delle truppe naziste. Aveva 22 anni quando venne fucilato.

Che c'è di male, quindi, se Giorgia Meloni celebra un martire della resistenza al nazifascismo? Assolutamente nulla, anzi!

Il problema è che Giorgia Meloni ha le idee confuse anche sul nazifascismo. Infatti, mentre ne celebra una vittima, dall'altra ne esalta uno che ne ha fatto parte: Giorgio Almirante!

Così il 22 maggio scorso, la Meloni scriveva: «Ci lasciava 32 anni fa Giorgio Almirante. Un politico di altri tempi stimato dagli amici ma anche dagli avversari, un Patriota. Il suo amore incondizionato per l'Italia, la sua onestà, la sua coerenza, il suo coraggio: valori che ha trasmesso alla Destra italiana e che continueremo a portare avanti ogni giorno. Un grande uomo che non dimenticheremo mai».

Il grande uomo Giorgio Almirante è lo stesso che "dopo la guerra divenne uno dei fondatori e poi segretario del MSI, il più importante partito neofascista italiano, che guidò fino alla sua morte (è il partito da cui poi nacque Alleanza Nazionale). Durante la sua lunghissima carriera politica non rinnegò mai la sua passata appartenenza al regime e la sua fede fascista. «La parola fascista ce l'ho scritta in fronte», disse in un'intervista. Fu sempre critico sulla democrazia («Democratico», disse in un'altra occasione, «è un aggettivo che non mi convince») e, dopo il colpo di stato militare in Cile nel 1973, in un discorso alla Camera auspicò che anche in Italia potesse accadere qualcosa di simile. Era un feroce anticomunista e non nascose mai che piuttosto che una loro vittoria alle elezioni riteneva che sarebbe stata meglio una dittatura militare". [1]

Non solo. lo stesso Almirante nel 1943, "entrò a far parte della Repubblica di Salò, il regime fantoccio che i nazisti instaurarono nell'Italia settentrionale. Grazie alle sue credenziali di giornalista fedele al regime venne nominato capo di gabinetto del ministero della Propaganda. In quel periodo Almirante firmò un manifesto distribuito nella provincia di Grosseto in cui veniva intimato agli sbandati dell'esercito italiano (che dopo l'armistizio dell'8 settembre si trovavano in una situazione di grande confusione) di arrendersi e consegnare le armi alle milizie fasciste o all'esercito tedesco, pena la fucilazione.Quando il documento venne pubblicato dal quotidiano del Partito Comunista L'Unità, nel 1971, ne nacque una lunghissima battaglia legale. Almirante querelò i giornalisti che avevano pubblicato il manifesto, accusandoli di aver falsificato un documento, e per sette anni L'Unità, Il Manifesto e il leader neofascista si scontrarono in tribunale. Alla fine il procedimento dimostrò che il manifesto era autentico ed era stato effettivamente realizzato da Almirante in quanto capo di gabinetto del ministero della Propaganda". [2]

Quindi, la domanda sorge spontanea: come fa la Meloni a celebrare un martire della violenza nazifascista e contemporaneamente uno che quella violenza la minacciava per poi metterla in opera? 

E questa sarebbe la sua coerenza?



[1], [2]
da il Post, Chi era Giorgio Almirante