Quello poliziesco è un succulento genere, in onda dalla notte dei tempi, ma si è modificato di molto nel prosieguo, per ovvie ragioni, e come tutti gli altri: soprattutto a causa delle regole imposte dalla nuova tecnologia e dai budget.
Così è stato che pian piano sono scomparsi dagli schermi gli inseguimenti, le scene corali, gli indugi su particolari e dettagli che inquadravano i risvolti meno appariscenti della storia, a favore di primi piani fulminanti, panoramiche flash, dialoghi a tambur battente.
Nel calderone ovviamente inseriamo anche le serie dedicate ad avvocati, garanti di cauzioni e detective privati, fra tutti ricordiamo due vecchi cult oggi quasi dimenticati: “Perry Mason”, saga sull’avvocato di Los Angeles, dei primi anni sessanta, ripresa con buon successo nei novanta, sempre con Raymond Burr ( il cattivo de “La finestra sul cortile” di Hitchcock); e “Barnaby Jones”, anziano ma implacabile investigatore, concittadino di Perry, che bruciava la Polizia quando si trattava di acciuffare delinquenti, interpretato da Buddy Ebsen, il marito abbandonato di “Colazione da Tiffany”.
Così scorrono i decenni, mentre imperversa Kojak, dell’undicesimo distretto di Manhattan. Ed è proprio da un episodio tra gli ultimi, del super poliziotto alfiere della grecità, che viene tratta e lanciata l’idea di unire la parte investigativa “ su strada” con quella inquirente in tribunale: perché, arresta qui, ammanetta là, poi come andava a finire in aula?
Nasce così “Law and Order”, che attacca nel 1990 negli USA (in Italia trasmesso dal 1993), incentrato sulla terribile criminalità di Manhattan sud, che vede un primo nucleo di agenti, il capo e la coppia operativa, alle prese con l’Ufficio del procuratore, il quale non esita a criticarne i metodi e a rabbuffarli pesantemente. La sigla è rimasta nelle orecchie di molti, riarrangiata e riadattata, ma sempre incalzante e urban.
Molti attori si avvicendano nel tempo, uno per tutti: Jerry Orbach (il papà di Baby, in “Dirty Dancing”), che entrò in una puntata nella parte di avvocato, fu gradito dal pubblico, le cui reazioni vengono attentamente studiate nelle torri di Hollywood, e ipso facto trasformato nel leggendario Lennie Briscoe: malinconico agé della Polizia di New York, in lotta con la tentazione alcolista, sfranto dai guai sentimentali, così romantico e old style nella visione del suo amato lavoro.
Orbach, che il grande pubblico non americano conosceva appena, ma negli USA era noto a tutto campo come attore e crooner teatrale, resterà saldamente nel ruolo fino alla morte, nel 2004, allorché tutte le luci di Broadway si spegneranno in suo onore. In procura si batte, in parallelo, nel medesimo periodo, Sam Waterston (lo ricordate in "Capricorn One"?), ovvero l'assistente Jack McCoy, grintoso arrivista e playboy. Sacrifichiamo la citazione di molti altri valenti attori che si sono succeduti, ma si trattava di professionisti di pari qualità.
Il primigenio progetto fotografa la realtà secondo i canoni del telefilm classico, senza forzare troppo la mano sulla psiche dello spettatore, venendo poi frazionato in spin off che ne distorceranno lo spirito originale: sia gli omonimi ambientati a Los Angeles, che quelli bislaccamente girati, con la medesima trama, a Parigi e Londra (questo meglio riuscito a nostro modesto parere); per finire con il più mentalista Criminal Intent, dove avremo modo di osservare la decadenza fisica di Chris Noth, originario personaggio agli inizi e seducente Mr. Big in “Sex and the city”. Tutto termina nel 2010, inspiegabilmente…o no?
Già perché, a quel punto, da almeno dieci anni c'è un affine, competitor formidabile: “Law and Order SVU - Unità vittime speciali”, dedicato specificamente ai crimini di natura sessuale, protagonista incontrastata Mariska Hargitay (figlia della Jayne Mansfiel di cui già parlammo), una di quelle star che si formano su un’unica parte e mai la lasciano; come pure, nell’altra versione, ha fatto S. Epatha Merkenson, la rude boss della sezione omicidi Anita Van Buren, lei pure trascinatasi fino all’ esaurimento della programmazione.
Gli episodi sono attraversati spesso da guest star (una sola volta o più), come Sharon Stone, le quali però non appaiono tagliate per la televisione, i suoi tempi, i suoi fini.
Così, e fino a quest’anno, si è andati avanti a furia di stupri, pedofilia, abusi, mentre Olivia/tenente Benson, tutta una carriera e una trafila seguita anno dopo anno, donna in carriera e madre adottiva, in mezzo a una tempesta di colleghi, dalla madre single, al nonno gay al jewish ortodosso, tra un giubilo di assistenti procuratrici una più bella dell’altra, trionfa e gigioneggia.
Ora resta da vedere come vorranno andare avanti, a metropoli semideserta e senza delinquenti in giro per bar: sfonderanno le porte di casa, random, per trovarli?