E' come dire: io vinco, tu vinci! Un sistema “win-win” soddisfa tutti e non delude nessuno. Mi direte: «Un sistema così non può esistere!». Invece esiste; e se mi concedete un po' di attenzione proverò a parlarvene in chiave di flat-tax e tassazione progressiva. Proprio di flat-tax se ne sta parlando dall'inizio della campagna elettorale. E la confusione regna sovrana, anche se non ci vorrebbe molto a capire quali vantaggi apporterebbe e a chi. Ma diventerei polemico parlando di necessità di CULTURA, la vera croce del popolo italiano (e non solo).

In tempi un po' più remoti, quando venne fondata la nostra Repubblica, si è creduto che un sistema win-win in tema di tassazione si dovesse basare sulla capacità contributiva del cittadino, imponendo al reddito un criterio progressivo. Così venne confezionato l'art. 53 della Costituzione che ci guida anche oggi. La flat-tax, ossia “tassa piatta”, è agli antipodi rispetto a questo dettato costituzionale. Eppure se ne parla in maniera fantastica; un qualcosa per alleggerire le tasse a noi cittadini. Renderci più ricchi, insomma. Molto bello.

Bene. Partiamo dall'esaminare l'originario (e costituzionalmente invariato) criterio progressivo sulla capacità contributiva.

La tassazione progressiva è davvero semplice: più guadagni e maggiore sarà il prelievo contributivo. Significa che non è previsto un appiattimento sulle aliquote, ma queste variano, aumentando, progressivamente in base al reddito.

Questo è possibile compiendo un ragionamento simile a quello che determinò la nascita dell'IRPEF, con il famoso DPR n. 597 del 1974, che prevedeva una curva di progressione fondata su ben 32 aliquote. Si partiva dal 10% fino a giungere al 72% di tassazione del reddito prodotto, applicate a una forbice da 2 a 500 milioni di vecchie lire.

Ad esempio, per un reddito di 5 milioni di euro lo Stato incassava più di 3,5 milioni di euro di tasse. Oggi, lo stesso reddito frutta allo Stato poco più di 2 milioni euro (più avanti vedremo il perché). Dunque l'azienda, i proprietari, gli azionisti, sono diventati negli anni non ricchi, ma sfacciatamente ricchi. E naturalmente potenti.

Quello del ‘74 non era tuttavia un sistema win-win solo perché aveva tutte quelle aliquote; la forbice reddituale era troppa ridotta e la progressione stagnava sui redditi bassi (penalizzandoli) mentre aveva un vertice troppo prematuro sui redditi alti. Quindi era più che altro un sistema win-lose, che lasciava scontenti tutti i cittadini (ricchi e poveri) ma faceva vincere le casse dello Stato.

E' un bene che lo Stato incassi tanti soldi, perché così può offrire molti più servizi e con maggiore qualità. Al netto delle polemiche che già sento: «E poi i politici li fanno volatilizzare tramite la corruzione dilagante». Ma non dobbiamo divagare, non è questo il tema da discutere ora, e la corruzione è un problema totalmente diverso.

Acquisiamo un altro dato. Nel sistema win-win che vogliamo centrare gli attori “economici” sono tre: ceto abbiente (parte minima), ceto medio-basso (piccola borghesia e proletariato), lo Stato. Come abbiamo visto sopra vinceva solo lo Stato; il cento medio-basso - perdente come quello abbiente - raggruppa il 99% dei cittadini che oggi più o meno condividono le stesse imposizioni, e nel sistema rappresenta senz'altro la classe sociale più significativa.

Come appena visto, per diversi anni si è applicato piuttosto maldestramente quel formidabile “criterio di progressione” costituzionalmente sancito.

Immaginate, invece, cosa sarebbe un sistema con 100 aliquote, non lineare ma gaussiano - com'è normale che sia - calibrato sulla focale di maggior gettito, ossia i redditi più produttivi, e letteralmente esplosivo sulle ricchezze spropositate (ceto abbiente). Un qualcosa che si realizza in qualche tranquilla giornata di lavoro, predisponendo una banale funzione matematica.

Tale evenienza realizzerebbe concretamente l'intuizione costituzionale, producendo quel sistema win-win che soddisfa tutti. Si potrà diventare ricchi, ma non sfacciatamente come accade oggi, e dunque avremo ancora un ceto abbiente ma sensibilmente ridimensionato; quella parte di ricchezza “sfacciata” sarebbe redistribuita alleggerendo le aliquote sul ceto medio-basso, dove il ”medio" assorbirebbe il “basso” determinando un unico ceto borghese; e infine risanerebbe le casse dello Stato e gli investimenti necessari in tutte le riforme attualmente al palo (si pensi al RBU, reddito di base incondizionato, in assorbimento di ogni altro strumento di welfare).

Dunque il sistema progressivo può in effetti determinare una situazione vincente per tutti.

Si dirà che non è così, perché il ceto abbiente perde un bella fetta di profitto. Tuttavia, le contestazioni di un ridotto numero di entità super ricche tra milioni di altre persone non avrebbe la minima rilevanza statistica. Naturalmente se a contare sono gli esseri umani e non il conto in banca. Quindi sia chiaro che il sistema è vincente perché gli umani contro sarebbero numericamente risibili, rispetto quelli a favore e, non ultimo, l'interesse dello Stato nella valanga di gettito che acquisirebbe.

Può aleggiare anche il velato ricatto di una “recessione” causata dal ridimensionamento delle mega società e holding il cui interesse è ovviamente trattenere il più possibile. Ma sarebbe anche questo un falso problema (scuoterebbe solo in maniera transitoria) poiché la ricchezza non cesserebbe di esistere redistribuendola, ma, appunto, verrebbe a spalmarsi in maniera tale che ogni ridimensionamento genererebbe opportunità per gli altri. Si pensi a una catena di megastore che una singola proprietà potrebbe ridurre, fornendo così un'indiretta apertura del mercato alle piccole entità che nel frattempo erano scomparse proprio a causa del megastore.

Eventualità che tuttavia non si verificheranno al di la dei “velati ricatti” - come li ho già definiti - poiché il denaro non è l'unico “benefit” di questa classe sociale. Il potere di movimento (umano e di risorse) che determina il gestire grandi strutture economiche rimane integro e sfruttabile, nel bene e nel male come oggi. Alle strette, nessuno vorrebbe privarsene; perché il fine del denaro è pur sempre il potere anche altrimenti conseguibile.

Pertanto, e sebbene irrilevante ai fini della caratterizzazione del sistema come win-win, anche l'odierno ceto abbiente continuerebbe a mantenere uno status elevato, solo con meno soldi.

Per il momento fermiamoci qui. Domani parleremo dell'alternativa “flat-tax” con la seconda parte conclusiva di quest'articolo.