Venerdì, nei territori occupati, i palestinesi hanno dato vita ad un nuovo giorno di collera per protestare contro il riconoscimento di Gerusalemme, da parte degli Usa, come capitale di Israele.
Agli scontri avvenuti nella mattinata ad Hebron soffocati dagli israeliani con un fitto lancio di lacrimogeni, sono seguite le manifestazioni a Gerusalemme Est dopo che i palestinesi, terminata la preghiera, dalla moschea di Al-Aqsa si sono recati verso la città vecchia di Gerusalemme, fermati però dalle barricate create dall'esercito israeliano nei vari punti di accesso.
Con il passare delle ore sono poi giunte notizie di ulteriori manifestazioni e scontri in tutta la Cisgiordania, da Betlemme a Tubas, da Tulkarem a Nablus, oltre che nella Striscia di Gaza.
Nelle varie località, al lancio delle pietre, i soldati israeliani hanno risposto con i lacrimogeni e l'uso di proiettili veri.
Il primo palestinese ad essere ferito gravemente è stato un giovane nei pressi di Ramallah, dove gli israeliani hanno fatto ricorso ad un uso massiccio delle armi. Ricoverato in condizioni disperate è deceduto poi nel tardo pomeriggio.
Ma non è stato il solo. A Gaza altri due palestinesi sono stati uccisi durante le proteste ai confini della Striscia. Uno si chiamava Yasser Sokar, aveva 23 anni ed è stato colpito da un proiettile alla testa. L'altro era un ventinovenne che si chiamava Ibrahim Abu Thrayya. Anche lui è stato colpito alla testa, nonostante fosse su una sedia a rotelle perché non aveva più le gambe che gli erano state amputate in seguito alle conseguenze di un bombardamento israeliano.
Un altro palestinese è stato poi ucciso nella città di 'Anata, portando così a quattro il numero dei morti, mentre il numero dei feriti, sempre secondo fonti palestinesi, sarebbe largamente superiore a 250.
I fatti sopra indicati, che sono stati ripresi dai resoconti dell'agenzia di stampa palestinese Wafa, dimostrano che la "rabbia" dei palestinesi di fronte alla decisione di Trump non è certo passata, a differenza di quanto volevano far credere i resoconti di molti giornali e notiziari televisivi.
A questo punto, la visita del vicepresidente Usa Pence, che già ieri era stata rinviata di alcuni giorni secondo quanto riportato da fonti israeliane, sembra sempre di più a rischio, oltre che insensata, visto che nessuno che abbia a cuore la possibilità che si possano avviare dei veri colloqui di pace tra israeliani e palestinesi lo vuole incontrare!