In audizione al Senato davanti alla Commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni per illustrare le linee programmatiche del suo dicastero, questo martedì il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli è tornato a parlare nuovamente di Alitalia.

La compagnia aerea messa in vendita dal governo Gentiloni e affidata per questo all'amministrazione di 3 commissari che avrebbero dovuto valutare le manifestazioni di interesse in tal senso (attualmente limitate a Lufthansa e EasyJet che sarebbe capofila di un gruppo di cui farebbero parte Air France, Cerberus e la compagnia low cost ungherese Wizz Air) non è ancora passata di mano, nonostante i ripetuti annunci con cui il passato governo indicava che si era prossimi all'assegnazione.

Forse, anche per tale motivo, Toninelli al Senato ha ribadito l'intenzione di far diventare Alitalia un vettore nazionale di cui lo Stato deterrà il 51% delle quote, mentre il 49% verrà affidato ad un partner industriale "in grado di farla volare", e a cui, pertanto, spetterebbe il compito di occuparsi di tutti gli aspetti tecnici relativi a tale scopo.

Toninelli ha dichiarato che "sono in corso da parte di questo governo le interlocuzioni necessarie con tutti i player internazionali per assicurare un futuro a questa azienda, per tutelare al meglio le esigenze dei lavoratori e del gruppo."

"Vogliamo un risanamento di Alitalia - ha aggiunto Tonineli - con l’eliminazione di tutti gli sprechi che ne hanno determinato la crisi.

Vogliamo che la futura governance garantisca la realizzazione di un piano industriale che sappia cogliere tutte le opportunità offerte dalle rotte internazionali, non solo tradizionali, ma anche verso nuove destinazioni."

Siamo di nuovo di fronte ad annunci che rimettono in discussione il destino di aziende che floride non sono. Dopo Ilva, i 5 Stelle vogliono rimescolare le carte anche su Alitalia, con il rischio, se non la certezza, di rendere nebuloso anche il destino di quell'azienda.

Se la vendita era in dirittura d'arrivo, perché rifare tutto daccapo? E con quali garanzie? Perché quello che non è si è riuscito a fare in un anno e mezzo adesso si dovrebbe concludere in poco più di un mese, dovendo poi fare i conti con un partner che avrebbe la maggioranza delle azioni, ma senza avere alcun ruolo operativo nella gestione industriale e che potrebbe limitarsi a dire di no, senza neppure darsi troppa pena nel trovare soluzioni alternative? Esiste un'azienda che potrebbe accollarsi tale rischio?