Quello che, secondo Salvini, non poteva e non avrebbe mai potuto accadere è invece accaduto. Il "papà di quota 100", Claudio Durigon, si è dimesso dall'incarico di sottosegretario all'Economia, prima che pubblicamente Mario Draghi ne chiedesse le dimissioni. 

Lo ha fatto, dopo un faccia a faccia con il segretario del suo partito, spiegando la sua scelta in questa lettera:

Un processo di comunicazione si valuta non in base alle intenzioni di chi comunica, ma al risultato ottenuto su chi riceve il messaggio: è chiaro che, nella mia proposta toponomastica sul parco comunale di Latina, pur in assoluta buona fede, ho commesso degli errori. Di questo mi dispiaccio e, pronto a pagarne il prezzo, soprattutto mi scuso. Mi dispiace che mi sia stata attribuita un'identità "fascista", nella quale non mi riconosco in alcun modo. Non sono, e non sono mai stato, fascista. E, più in generale, sono e sarò sempre contro ogni dittatura e ogni ideologia totalitaria, di destra o di sinistra: sono cresciuto in una famiglia che aveva come bussola i valori cristiani.Mi dispiace soprattutto che le mie parole, peraltro lette e interpretate frettolosamente e superficialmente, abbiano potuto portare qualcuno a insinuare che per me la lotta alla mafia non sia importante. È infatti vero esattamente il contrario: la legalità, e il contrasto alle organizzazioni criminali, sono per me dei valori assoluti, nei quali credo profondamente. Per questo, anche se le mie intenzioni erano di segno opposto, mi scuso con quanti, vittime di mafia (o parenti di vittime di mafia), possono essere rimasti feriti dalle mie parole. O, per essere più precisi, da una certa interpretazione che è stata data alle mie parole.E sottolineo che le mie scuse in questo senso, in particolare alle famiglie Falcone e Borsellino, e a quelle degli agenti di scorta caduti insieme a loro, sono sentite e profonde (come sentita e profonda è, per me, la convinzione nel valore della legalità). È per questo che mi indigna veramente il fatto che qualcuno, forzando il senso delle mie parole, mi abbia accusato di mancanza di rispetto e di ingratitudine nei confronti dei giudici Falcone e Borsellino. Che invece, per me (e per moltissimi della mia generazione), sono non solo due figure eroiche, ma anche dei modelli di etica, di civismo, di senso dello Stato.Anche per questo, sono disgustato da alcuni media che mi hanno addirittura accostato ai clan rovistando nella spazzatura al solo scopo di infangarmi. Detto questo, colgo l'occasione per precisare una volta per tutte il senso delle mie parole. Come indica chiaramente il mio cognome, io sono figlio, e nipote, di veneti immigrati, tanto tempo fa, nel Lazio e in particolare in quel dell'attuale Latina.Sono dunque nipote di "coloni", italiani di tutta Italia che hanno partecipato a una grande opera, civica e civile al tempo stesso, di recupero di un territorio del nostro Paese che fu, per troppo tempo, svantaggiato e inabitabile. Mi riferisco alla bonifica dell'Agro Pontino. Stiamo parlando del recupero di un'area con una superficie di circa 75.000 ettari, che per secoli è stata flagellata dalla malaria. Il progetto di recupero e valorizzazione fu un'opera immensa: dal 1926 al 1937, per bonificare le paludi dell'Agro, furono impiegate ben 18.548.000 giornate-operaio, con il lavoro di circa cinquantamila operai, provenienti da tutto il Paese.Estirpata la malaria e recuperato il territorio, a seguire sorsero nuove città, di cui la prima fu, nel 1932, l'attuale Latina (all'epoca chiamata Littoria). Che, anche in seguito alla seconda immigrazione (post-bellica), negli anni Settanta, che vide come protagonisti nostri concittadini provenienti soprattutto dall'Italia centrale e meridionale, divennero straordinari luoghi di incontro e di integrazione fra culture, modi di vivere, dialetti, tradizioni, molto differenti fra loro. Tutto ciò ha fatto, dell'Agro Pontino, un vero e proprio caso di studio demografico e sociologico nazionale. Nella mia mal formulata proposta, io avevo a cuore solo l'idea di ricordare questa storia così intensa e così particolare, e ancora oggi così sentita nella zona di cui sto parlando (anche se mi rendo conto che essa è difficile da comprendere, e soprattutto da "sentire", per un qualsiasi cittadino italiano che non sia di quella zona).E, soprattutto, non ho mai chiesto "l'intitolazione del parco al fratello di Mussolini", come hanno riferito alcuni titoli di giornale, bensì semplicemente il ripristino del suo nome originario. Il nome "Arnaldo Mussolini" venne infatti scelto dai coloni e per decenni è rimasto tale, nonostante il susseguirsi dei sindaci e delle giunte. E fa parte della memoria della città. Dunque, io non ho mai inteso né accostare i nomi dei giudici Falcone e Borsellino a quello del fratello di Mussolini né - tantomeno - fare un assurdo confronto fra loro. Sostenere il contrario, come è stato fatto sulle mie parole, è una forzatura bella e buona.Perciò, al di là dei miei errori di comunicazione (nella forma), nella sostanza sono stato strumentalmente attaccato per aver proposto di salvare la memoria storica di cui sopra. Sono stato attaccato per il fatto di voler ricordare lo sforzo e l'impegno di così tanti italiani. A prescindere dal nome specifico di Arnaldo Mussolini, perché ciò che a me sta veramente a cuore, come nipote di "coloni", è solo di ricordare quella storia collettiva di impegno e sacrificio. La mia vera colpa è che non  mi dimentico di essere "figlio" della bonifica pontina. Tutto, in quelle terre, rimanda a una storia che invece un certo tipo di "politicamente corretto" vorrebbe rimuovere per sempre. Così, ho dovuto constatare sulla mia pelle, con grande amarezza, che esistono professionisti della strumentalizzazione che hanno usato le mie parole per attribuirmi a tutti i costi un'etichetta che non mi appartiene, con l'unico fine di colpire me e il partito che rappresento. Si tratta di un'operazione che, come detto, mi ferisce profondamente e che non posso più tollerare. Aggiungo che tutta questa polemica sta diventando l'alibi di chi, in malafede, intende coprire altri problemi: mi riferisco in particolare ai limiti del Viminale (più di 37mila sbarchi dall'inizio dell'anno contro i 17.500 del 2020 e i 4.800 del 2019, per non parlare dello scandalo del rave abusivo), o delle incredibili parole di Giuseppe Conte sul dialogo con i talebani. E i vari professionisti della strumentalizzazione sono gli stessi che ancora oggi troppo spesso tacciono quando si negano i massacri delle Foibe, o appoggiano Paesi e organizzazioni che inneggiano all'uccisione degli ebrei e alla cancellazione dello Stato di Israele.Per tutto questo, per uscire da una polemica che sta portando a calpestare tutti i valori in cui credo, a svilire e denigrare la mia memoria affettiva, a snaturare il ricordo di ciò che fecero i miei familiari proprio secondo quello spirito di comunità di cui oggi si avverte un rinnovato bisogno, ho deciso di dimettermi dal mio incarico di governo che ho sempre svolto con massimo impegno, orgoglio e serietà. Gli Italiani da noi e dal governo si aspettano soluzioni, non polemiche. Quindi faccio un passo a lato, per evitare che la sinistra continui a occuparsi del passato che non torna, invece di costruire il futuro che ci aspetta. Io continuo, anche senza il ruolo di sottosegretario, a lavorare per difendere Quota 100 e impedire il ritorno alla legge Fornero, e a ottenere saldo e stralcio, rottamazione e rateizzazione per i 60 milioni di cartelle esattoriali che rischiano di partire da settembre, massacrando famiglie e imprese.Non solo. Il tempo che non passerò più al ministero lo dedicherò anche alle mie amate comunità di Latina e Roma: hanno bisogno di progetti, efficienza, sicurezza e lavoro, non di incapacità e polemiche. Da militante fra i militanti, avrò anche più tempo per raccogliere firme per i Referendum sulla Giustizia fino a settembre, così da arrivare a un milione di firme. Sperando di aver finalmente chiarito il mio pensiero, auguro buon lavoro a chi prenderà il mio posto. In un grande partito come la Lega siamo tutti sostituibili, tranne Matteo Salvini che ringrazio per il sostegno, la vicinanza politica, morale e umana che ha avuto nei miei confronti. Non da ultimo, ringrazio i tanti militanti, simpatizzanti o elettori che mi hanno inviato messaggi di vicinanza in questi giorni.

Quanto i contenuti della lunga lettera siano insensati nel voler negare l'evidenza dei fatti lo dimostra la seguente affermazione:

E, soprattutto, non ho mai chiesto "l'intitolazione del parco al fratello di Mussolini", come hanno riferito alcuni titoli di giornale, bensì semplicemente il ripristino del suo nome originario. Il nome "Arnaldo Mussolini" venne infatti scelto dai coloni e per decenni è rimasto tale, nonostante il susseguirsi dei sindaci e delle giunte. E fa parte della memoria della città. Dunque, io non ho mai inteso né accostare i nomi dei giudici Falcone e Borsellino a quello del fratello di Mussolini né - tantomeno - fare un assurdo confronto fra loro. Sostenere il contrario, come è stato fatto sulle mie parole, è una forzatura bella e buona.

E ancor peggio, oltre a non voler ammettere di non essere un simpatizzante del fascismo è, da parte di Durigon, il voler pretendere che i problemi del Governo siano rappresentati dalla Lamorgese che non fa affogare i profughi o da Conte che sui talebani si è espresso sulla stessa falsariga dei leader del G7.

Ma non c'è da stupirsi, perché altrimenti Durigon non sarebbe stato difeso a spada tratta da Salvini che, da questa vicenda, esce più che bastonato e con la coda tra le gambe.